Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Tra Medioevo ed Età moderna
... e l'olio divenne strumento di potere
Le Repubbliche marinare e il commercio oleario

di Alberto Foresi

A partire dall'anno Mille, il commercio oleario raggiunse progressivamente una importanza economica tale che si costituirono apposite società in grado di far fronte ai costi d'acquisto della derrata ed all'armamento di apposite navi da trasporto. Tra i grandi commercianti d'olio è a noi giunta memoria del veneziano Vitale Voltani, che da solo, nel XII secolo, controllava il mercato dell'olio a Corinto, Tebe e Costantinopoli, e del genovese Romano Mairano, il quale importava olio d'oliva dalla Provenza, dalla penisola iberica e dall'Africa settentrionale.
Indispensabile sia per le necessità alimentari, sia per la produzione di manufatti quali i saponi, l'olio divenne strumento di grande potere economico e politico, tanto che fu imposta una vera e propria legislazione riguardante tale prodotto. A Venezia, che doveva gran parte della sua fortuna al commercio di olio - oltre a quello delle spezie - alla fine del XIII secolo i Visdomini di Ternaria furono incaricati di controllare importazioni ed esportazioni, pesatura e vendita al minuto dell'olio. Furono inoltre stabiliti dazi di tre ducati per ogni mille libbre d'olio proveniente dal mare Adriatico, e di un ducato se proveniente da altre zone.
I commercianti veneziani rivolgevano la loro attenzione verso l'Italia meridionale e in particolar modo verso la penisola salentina, dove, allora come oggi, la produzione di olio era particolarmente abbondante. Per far fronte alle pressanti richieste dei mercanti, l'olivicoltura conobbe in Puglia un rilevante incremento e le ampie distese boschive di Capo Leuca furono messe a coltura soprattutto grazie all'opera dei monaci cistercensi. In ogni porto pugliese, Brindisi, Taranto, Gallipoli e Otranto, ebbe inizio un incessante andirivieni di navi e furono impiantati fondachi veneziani, genovesi, toscani e perfino tedeschi, russi ed inglesi. In soli dieci mesi dell'anno 1578, come risulta dai registri del notaio brindisino Cesare Pandolfo, due agenti veneziani acquistarono ben 211.263 stare d'olio proveniente dai territori di Maglie, Salve, Murciano e Leuca, pagando come dazio la rilevante cifra di 21.126 ducati. L'importanza raggiunta dal commercio dell'olio nell'economia dell'Italia meridionale fu tale che il viceré spagnolo Parafran de Rivera, nel 1559, ordinò la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia con deviazioni verso l'Abruzzo e la Calabria, al fine di consentire maggior celerità nei trasporti.
Anche se con minore intensità rispetto alla Puglia, l'olivo fu coltivato in Abruzzo, in Campania e in Calabria, inizialmente grazie all'azione delle comunità monastiche e, in un secondo momento, dei feudatari. La produzione in un primo momento era destinata unicamente al consumo locale, mentre in un secondo tempo fu tale da riuscire ad alimentare una certa esportazione
Tale florida situazione mutò tra XVI e XVII secolo: l'incertezza politica e le frequenti guerre causarono la crisi di questo sistema economico, crisi aggravata da un aumento del carico fiscale, voluto dai governanti spagnoli, tale da rendere non più remunerativa la coltivazione dell'olivo e la produzione olearia. Così gli oliveti cominciarono ad essere nuovamente abbandonati. Il commercio fu anche ostacolato da una concorrenza sempre più accanita, da ripetuti atti di pirateria e, infine, dal fatto che le nazioni straniere, particolarmente l'Inghilterra, volevano commerciare il prodotto autonomamente senza intermediazioni locali o veneziane.

 

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