Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Cinema
"LA CADUTA" un film di Hirschbiegel
Un'opera intimista su una tragedia universale: la fine del Nazismo

di Luca Di Giovanni

- Titolo originale: "Der Untergang"
Germania, 2004 - Storico, 150 minuti - Regia: Oliver Hirschbiegel
- La trama: Le ultime ore di vita di Adolf Hitler nel suo bunker prima del suicidio. La storia di quegli eventi tragici viene narrata dalla giovanissima Traudl Junge, la segretaria di Hitler, che rimase vicina a lui e al suo più ristretto gruppo di uomini vivendo insieme nel bunker i giorni della fine.

C'è un certo tipo di cinema che non ha visibilità tra il grande pubblico, che non si preoccupa di risultare commercialmente appetibile o artisticamente valido, ma che continua a produrre film con la speranza di cambiare qualcosa nelle coscienze degli spettatori più attenti e sensibili.
È il cosiddetto cinema di impegno civile, quello dei registi a cui interessa lasciare un messaggio, denunciare una situazione poco conosciuta; quel cinema che antepone il contenuto alla forma, un cinema necessario, nobile, coraggioso, che ha prodotto opere importanti e che non morirà mai.
Che siano capolavori indiscussi ("Salvatore Giuliano", "Le mani sulla città", "Tutti gli uomini del presidente"), ottimi film ("Garage Olimpo", "Dead Man Walking") o anche opere meno riuscite da un punto di vista artistico (il mediocre "Hotel Rwanda" di recente uscita, o il film su Ilaria Alpi "Il più crudele dei giorni", veramente brutto) il cinema di denuncia va seguito e apprezzato per la sua importanza.
"La caduta" non fa parte di questo filone.
Poi c'è il cinema che racconta la Storia, il cinema della memoria, quello fatto per non dimenticare, il cinema dei registi consapevoli dell'importanza del loro ruolo, quello fatto magari con intenti meno edificanti ma tutt'altro che privo di coscienza politica e di impegno morale: quell'impegno che ha prodotto opere come "La battaglia di Algeri", "Lamerica", "La meglio gioventù", e tutto il cinema che ha raccontato la tragedia dell'Olocausto, con film come "La vita è bella" (favola edificante e buonista di incredibile impatto emotivo), "Schindler's list" (capolavoro hollywoodiano al 100%, con l'eroe buono che salva gli ebrei) e "Il pianista" (il più asciutto e rispettoso, per questo il più sconvolgente).
Non mi riesce di inserire appieno "La caduta" neanche in questo filone.
"La caduta" è un film atipico, controverso, sicuramente coraggioso.
È un'opera intimista su un argomento così universale come la tragedia del Nazismo.
Racconta senza spiegare, mostra senza suggerire, fa pochissime domande e non dà nemmeno una risposta.
Narra di una follia collettiva attraverso pochi personaggi, di vent'anni di storia in dodici giorni, di un paese allo sbando nei pochi metri quadrati di un bunker claustrofobico.
Chiunque si aspetti una condanna unilaterale delle barbarie del Nazismo attraverso una rigorosa ricostruzione degli eventi storici uscirà dal cinema deluso. In verità, la ricostruzione dei luoghi, degli ambienti, della cronologia dei fatti e perfino dell'atmosfera di quei giorni è a dir poco impeccabile: fedelissimi sono i personaggi, tutti realmente esistiti, e i discorsi pronunciati da Hitler nei suoi ultimi sussulti di lucida follia.
Manca ciò che sarebbe lecito aspettarsi da un film del genere (ciò a cui siamo stati abituati), cioè una morale esplicita, una condanna tangibile, una divisione netta tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici. E questo, per un pubblico poco abituato a pensare con la propria testa, per uno spettatore in cerca di rassicurazioni e di certezze, è a dir poco inconcepibile.
Su questa direttrice a mio avviso si sono mosse la maggior parte delle critiche rivolte al regista Oliver Hirschbiegel che ho avuto modo di leggere documentandomi su "La caduta": a molta gente non è andato giù un film sul Nazismo visto attraverso gli occhi dei nazisti (come se la scelta di un punto di vista della narrazione implichi l'immediata adesione da parte del narratore), e ciò che più ha dato fastidio è stato vedere Hitler, il più terribile omicida di massa dei nostri tempi, in atteggiamenti intimi, privati, umani.
Sulla presunta "umanizzazione" di Hitler si sono scatenate le critiche a mio avviso più fuorvianti: mostrare il Fuhrer che accarezza il suo cane, o che dà un buffetto affettuoso alla sua segretaria non lo rende affatto più umano o più simpatico. La rappresentazione che ne dà Bruno Ganz, di straordinario valore mimetico, rende perfettamente le sfumature psicologiche del personaggio: la lucida follia, la furia verbale, la megalomania delirante di Hitler acquistano uno spessore maggiore accostate ai momenti di sconforto, di depressione, di solitudine di cui il Fuhrer soffrì nei suoi ultimi istanti.
Hitler era il più mostruoso degli uomini, ma era sempre un uomo, con le sue contraddizioni, le sue ossessioni, le sue debolezze, e la sua rappresentazione ne "La caduta" è la più completa, fedele, ricca di sfumature che abbia modo di ricordare, sconvolgente proprio perché realistica, incompleta, raccontata senza pregiudizi e senza tocchi deformanti o grotteschi (come nel bellissimo "Moloch" di Sokurov).
"La caduta" è un film su Hitler senza gli ebrei, un film sui tedeschi senza gli Alleati: è talmente asciutto da sfiorare l'astrazione, talmente realistico da risultare onirico.
È un film di due ore e mezza tutto ambientato al chiuso, in un bunker sotto terra fatto di stanze e corridoi, un film di guerra con pochissime scene di guerra.
Hirschbiegel non si interroga sul perché quelle persone si trovassero in quei giorni in quel bunker, non punta il dito sulle colpe dei gerarchi nazisti e non giudica il silenzioso assenso delle segretarie, ma ci racconta le loro paure, le loro preoccupazioni di quei terribili giorni dell'Aprile 1945.
"La caduta" è un film sulla morte di Hitler, Goebbels e soci, ma significativamente queste morti non sono mostrate, sono un rumore di pistola fuori campo. La storia del Nazismo non è (solo) la storia di Hitler, sembra dirci il regista, che infatti prolunga il film di quaranta minuti dopo la morte del Fuhrer, seguendo la vicenda della sua segretaria, vera protagonista del film.
"La caduta" è un film stilisticamente freddo, controllatissimo, che non concede quasi nulla allo spettacolo, un film fatto di alienanti movimenti di macchina per i corridoi del bunker e avido di primi piani, fatto di dialoghi ma non teatrale e quasi privo di colonna sonora. L'approccio gelido, distante e oggettivo, quasi da documentario può arrivare a emozionare per sottrazione o lasciare del tutto indifferenti (tanto da lasciare dubbi sull'effettivo coraggio del regista, che non prende mai posizione), ma forse è l'unico modo che il regista aveva di raccontare l'irraccontabile.
Ad ogni modo, "La caduta" è un'opera che lascia aperti molti interrogativi, primo fra tutti se sia giusto o no fare cinema su un argomento come l'Olocausto (questione mai sopita sull'Arte e i suoi limiti).
Come accade con i film di argomento religioso, quando esce un film sul Nazismo ci sarà sempre da discutere, e gli esperti avranno polemiche, pregiudizi e ragioni da vendere, e si discuterà sul contenuto del film dimenticando il film stesso.
"La caduta", a tal proposito, è un film che scontenta parecchio. Proprio per questo consiglio a tutti di vederlo.

 

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