Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Lavoro e tutele in Cina
Un cammino ancora difficile
Il paese si apre all'occidente ma restano mille chiusure in fatto di diritti sindacali

di Giacomo Virgilio

Li Yongli è un giovane disabile cinese. Non ha avuto grandi soddisfazioni dal punto di vista lavorativo. È stato assunto una sola volta per un lavoro provvisorio di dieci mesi, senza reddito mensile. Senza altre fonti di sostentamento economico, Li è vissuto in estrema povertà fino al 1999, anno in cui ha ottenuto la pensione della previdenza sociale di Beijing. Questa equivale allo stipendio minimo assegnato ai residenti della capitale. Yongli fa parte di quel gruppo di emarginati della società.
Ora, agli inizi del ventunesimo secolo, la Cina, al pari degli altri paesi asiatici, ha deciso di mettere in discussione il proprio sistema di organizzazione del lavoro. Le condizioni di vita delle persone svantaggiate, sono state discusse durante la V Sessione del IX Congresso Nazionale Popolare (NPC).
Il Primo Ministro Zhu Rongji ha messo a fuoco (nel "Rapporto del Governo sul Lavoro") la necessità di inserire i disabili nel mondo del lavoro.
In Cina il termine "svantaggiato" si riferisce ad un sostanzioso gruppo di persone composto di disabili, disoccupati ed anziani senza un reddito fisso. Le condizioni di vita, di lavoro e d'assistenza medica di questo gruppo creano molte preoccupazioni. Il sistema d'assistenza deciso dal sistema di prevenzione sociale nel 1997 garantisce un tenore di vita minimo ai residenti delle città. È stato creato un ombrello protettivo nel quale sono stati raccolti i gruppi di persone svantaggiate. Come Li Yongli, molti beneficiari dell'assegno sociale, condividono però l'opinione che il supporto morale ricevuto dagli organi di assistenza sociale sia stato molto più consistente di quello economico e materiale.
Zhang Zuoyi, Ministro del Lavoro e della Prevenzione Sociale, ha affermato che a seguito dell'aumento del numero degli svantaggiati, l'amministrazione centrale ha deciso di stanziare più fondi per l'assistenza sociale, per assicurare a tutti i bisognosi residenti nelle città un tenore di vita minimo.
Di recente Pechino sembra voler dare agli operai un'immagine di sé più amica. Il premier Wen Jiabao, ha promesso di prendere in considerazione i problemi della sicurezza sul lavoro e dei salari non pagati. Sono problemi che affliggono decine di milioni di cinesi. Ciononostante la Cina ha annullato un incontro internazionale che doveva aver luogo in questi giorni. Si doveva discutere del rispetto dei diritti dei lavoratori e il seminario era organizzato in collaborazione con l' OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Era prevista la partecipazione di oltre 80 rappresentanti di governi, sindacati e uomini d'affari provenienti da più di 30 paesi. Evidentemente gli organizzatori hanno avuto la percezione di perdere il controllo del Convegno. Hanno proceduto in gran fretta all'annullamento dei visti ai partecipanti stranieri e hanno preferito rimandare il tutto a tempi migliori. Il sospetto è che il governo non gradisca nella capitale sindacalisti stranieri che parlano di diritti degli operai, di standard di sicurezza e sanità, di lavoro minorile e di discriminazione. Il sindacato unico governativo, retaggio dell'economia collettivista cinese, non è in grado di lottare per gli operai, schiacciati ora da un'economia capitalista sempre più aggressiva. Le autorità proibiscono la nascita di sindacati liberi. I minimi salariali, gli orari di lavoro, gli standard sanitari e di sicurezza, tutte queste regole sono spesso infrante. Inevitabile, allora, che le tensioni sociali aumentino, nonostante lo sviluppo economico a due cifre.

 

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