Pubblicato su Politica Domani Num 48/49 - Giu/Lug 2005

Transizioni
Africa, dal colonialismo al nazionalismo
L'indipendenza delle nazioni africane degli ex imperi coloniali non si è trasformata in spinta verso la modernità e il progresso

di Maria Mezzina

"Di una cosa siamo certi: non è per tenere insieme l'Impero britannico che stiamo combattendo." Così scriveva il 12 ottobre del 1942 la rivista americana Life, in un editoriale sotto forma di lettera aperta agli inglesi. Dietro l'affermazione che mandò in bestia Churchill, il quale dovette fare buon viso a cattivo gioco, c'era la vocazione statunitense ad accorrere in soccorso dei popoli colonizzati dell'Africa per "aiutarli" nella conquista dell'autonomia. In realtà l'Africa si era conquistata da sola il diritto all'autonomia. Lo aveva pagato con i suoi uomini, quasi 600.000, andati a combattere per liberare l'Europa dall'inferno nazista.
La pace che seguì la seconda guerra mondiale aveva stravolto la geografia politica del vecchio continente. Nella nuova situazione difficilmente gli ex imperi coloniali - Francia e Inghilterra in testa - avrebbero potuto opporsi alle aspirazioni autonomiste delle proprie colonie, pressati com'erano sia dai movimenti autonomisti interni alle colonie, sia dagli Stati Uniti. Questi ultimi vedevano nell'Africa uno sconfinato mercato dove piazzare i prodotti di cui l'avanzata tecnologia, sviluppata per necessità belliche, li aveva resi i primi produttori del mondo. La rapidità con cui alla fine della guerra si diffusero in Africa le chewing gum e le sigarette camel, e la frenetica attività di compagnie quali l'aerea Pan American e la petrolifera Socony-Vacuum (la futura Mobil), che continuavano ad aprire basi su tutto il territorio africano, convinsero più di un osservatore della volontà USA di conquistare il vasto territorio africano.
La fine degli imperi coloniali di Francia, Regno Unito, Portogallo e Belgio si stava avvicinando rapidamente. La voglia di indipendenza di popoli che potevano vantare una loro antica grandezza - a tutt'oggi in gran parte sconosciuta ai più, basti pensare agli imperi del Mali e degli Ashanti - cominciava a conoscere i primi successi. I primi riconoscimenti formali vennero da Francia e Regno Unito. Inizialmente si trattò di stanziamenti economici: 84 miliardi di franchi con il piano decennale della Carta Atlantica (francese) del 1942 e 50 milioni di sterline con il Colonial Development and Welfare Act (britannico) del 1940, aumentati poi, nel '45, a 120 milioni. Non mancarono però anche i riconoscimenti politici: a Brazzaville (1944) la Francia libera del generale De Gaulle, pur respingendo qualsiasi forma di autonomia delle colonie, fu costretta a concedere loro di essere rappresentate nell'Assemblea legislativa francese. Poca cosa, perché la nomina era puramente rappresentativa e i rappresentanti delle colonie non avevano nessuna influenza politica. Era tuttavia pur sempre l'inizio di una "carta dei diritti" dell'uomo africano. Nel Regno Unito si lavorava invece per preparare le colonie all'autonomia con un progetto di "autogoverno nell'ambito dell'Impero britannico". Un progetto, però, senza impegni e senza scadenze. In tanti, infatti, erano convinti che sarebbero state necessarie almeno due generazioni prima che le colonie avessero potuto camminare da sole.
Il processo fu, invece, molto più breve. Il programma degli attivisti africani riuniti a Manchester nel 1945 per il loro sesto congresso divenne il manifesto dell'Africa libera: "Noi siamo determinati ad essere liberi. Noi vogliamo istruzione. Noi vogliamo il diritto a guadagnarci da vivere in modo decoroso; il diritto di organizzare i nostri pensieri e le nostre emozioni, di adottare e creare forme di bellezza. Noi chiediamo l'autonomia e l'indipendenza dell'Africa nera ..." Gli stati degli ex imperi coloniali, Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Belgio erano usciti sfiancati dal conflitto mondiale. Non c'era più né la forza né la volontà di dedicarsi alla cura delle colonie, le quali, d'altra parte, premevano per l'indipendenza ed erano in piena ebollizione. Arrivano così le prime concessioni: nel 1948 il Colonial Office britannico concede le prime elezioni dirette in Costa D'Avorio. Vince il leader socialista Kwame il quale, liberato dal carcere, mette in piedi il primo governo. È la scintilla. Tutta l'Africa (eccetto il Congo) è percorsa da fremiti di libertà ai quali gli stati europei rispondono con concessioni sempre più importanti e sempre più frequenti. Per non perdere completamente il controllo sulle colonie viene inventata una soluzione di compromesso: le assemblee ad elezione diretta. Uno strumento, però, che avrebbe ben presto portato, secondo alcuni analisti, all'affermazione esasperata dei nazionalismi e al conflitto fra gruppi etnici e tribali. I primi più gravi disordini si ebbero in Kenya, a cui seguirono quelli del Congo.
Nel 1960 l'Assemblea Generale dell'ONU approvò una risoluzione che di fatto apriva le porte all'indipendenza degli stati africani. "La mancanza di preparazione non dovrebbe essere un pretesto per rinviare l'indipendenza", si leggeva nella risoluzione. Già nel '60 sedici ex colonie divennero stati indipendenti. Nel '65 gli stati indipendenti erano diventati 38; entro il '75 sarebbero diventati 45. Nel 1980 è la volta dello Zimbawe. Eppure i segnali di crisi non tardarono a venire.
Nel 1963, ad Addis Abeba, in Etiopia, si erano incontrati i rappresentanti di trenta nazioni africane per fondare l'OUA (Organizzazione dell'Unità Africana) che avrebbe dovuto avviare l'Africa a diventare una federazione di stati indipendenti. In quella occasione, però, il 31° seggio, del Togo, era rimasto vuoto. Sylenus Olympio, presidente del Togo, era stato ucciso in un attentato quattro mesi prima e nel piccolo stato si era insediata una dittatura militare. Quella poltrona vuota era il primo segnale di una situazione che sarebbe presto degenerata, trascinando l'Africa nella paura e nel disordine e uccidendo le speranze di progresso che si erano accese con la conquista dell'indipendenza. Dopo quello del Togo, nei successivi cinque anni furono oltre settanta i colpi di stato occorsi nelle 32 nazioni africane finalmente libere. Dittatura e violenza divennero la normalità in un'Africa che per questo, da allora, continua a sprofondare nella paura e nella miseria.
Ma questa è un'altra storia. Questa è già storia di oggi.

 

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