Pubblicato su Politica Domani Num 47 - Maggio 2005

Elezioni nel Sud
La questione meridionale oggi
Corruzione e clientelismo, basta andare in una qualsiasi provincia meridionale per rendersi conto di come ancora vanno le cose

di Fabio Antonilli

Ad un anno dal prossimo appuntamento elettorale le premure che la classe politica pone verso l'eterna "questione meridionale" sono davvero notevoli.
Un problema, questo, buono da tirar fuori ad ogni campagna elettorale: prima cosa perché è un argomento sul quale è facile imputare al Governo uscente di turno di aver fatto poco o nulla, e poi per catturare il consenso degli elettori meridionali. Cosa non di poco conto se si considera che oltre a quello dei residenti, il politicante dalla promessa più demagogica potrà contare anche su quello degli emigrati al nord e qui residenti, degli oriundi, perché quando si parla delle proprie origini è difficile essere indifferenti, e degli "italiani all'estero" che, si sa, per la maggior parte sono meridionali.
E così, a ridosso delle elezioni, basta andare in una qualsiasi provincia meridionale per rendersi conto di come vanno le cose. Il copione è sempre lo stesso: il potente del luogo si candida a rappresentare i propri conterranei in Parlamento e per ottenere i voti fa promesse che rasentano l'inverosimile; ricorrendo a tecniche clientelari fa nascere posti di lavoro che durano il tempo di una campagna elettorale; dilapida, per questa, molti denari con la speranza che, poi, si rifarà; attiva i grandi mezzi di comunicazione per richiamare l'attenzione su di sé, presiede l'inaugurazione di qualche opera pubblica completata, guarda caso, proprio a ridosso delle elezioni, organizza feste sempre molto generose.
Insomma la "questione meridionale", oggi come ieri, è anche questo: una classe dirigente priva di etica, ignara delle vere esigenze della gente, che si avvicina ai ceti popolari solo in prossimità degli appuntamenti elettorali; che qualche volta realizza ciò che promette senza, però, estromettervi i loschi affari delle organizzazioni criminali, dunque con costi sociali enormi.
Non è difficile, quindi, ritrovare in Parlamento gente disposta a scendere a qualsiasi compromesso pur di salvaguardare i propri interessi: è questo il caso dei parlamentari e politici meridionali del centro-destra, tutti smisuratamente ossequiosi verso il Governo Berlusconi ma che in quattro anni non hanno fatto nulla per riequilibrare gli interventi di politica governativa a favore dei problemi e delle tematiche croniche del Meridione.
Ed ecco spiegata la sconfitta elettorale del centro-destra, lo scorso aprile, in tutte e quattro le regioni meridionali in cui si votava.
In un intervento apparso sulle colonne de L'Articolo, quotidiano della Campania, Paola De Vivo - docente associata di Sociologia Economica all'Università Federico II di Napoli - scrive che nella politica del centro-destra ha prevalso un logica perversa che così spiega: "rendere il Mezzogiorno sempre più marginale sul piano dello sviluppo economico, perché convinti che con l'arretratezza si gestisca il consenso politico; che la disoccupazione, la povertà, la gracilità del tessuto sociale generino sudditanza verso la politica e garantiscano un voto di scambio".
Nel Mezzogiorno è presente, dunque, una classe dirigente "neo-borbonica" che ha, cioè, tutti i tratti caratteristici di quella che governava, anzi spadroneggiava, nel Regno delle due Sicilie. Di quel periodo - in cui non era sancito neanche il principio dell'uguaglianza formale - rimane l'arroganza, l'egoismo, il desiderio di sopraffazione e di arricchimento, l'incapacità di proiettare se stessi e la società verso il futuro, l'assenza di senso civico e quindi di senso della democrazia. Questo, oggi, è il primo grande problema in seno alla "questione meridionale".

 

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