Pubblicato su Politica Domani Num 47 - Maggio 2005

Il primo pontefice del terzo millennio
Papa Benedetto XVI
Nella V Domenica di Pasqua l'inizio del Ministero Petrino

di M.M.

Anche il vento, quella frizzante domenica mattina a piazza San Pietro, spettinandogli i capelli candidi, si è impegnato a consegnare al mondo l'immagine di un Papa che vuole essere molto diverso dall'antico Cardinale severo e composto.
"Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo?". La domanda che Benedetto XVI volge a se stesso diventa appello accorato ai fedeli radunati sulla piazza e a quelli lì idealmente presenti, e altrettanto vivamente partecipi, grazie alle dirette televisive di tutto il mondo. La schiettezza di Ratzinger rifugge dalla retorica. Alla base di questa domanda ci sono la sua modestia e semplicità personale e la sua cristallina purezza intellettuale. Nella convinzione di essere sorretto dalla schiera dei Santi e dalle preghiere di tutti ci sono la sua fede e la sua speranza.
Papa Benedetto conosce bene tutte le accuse che sono state fatte al Cardinale Ratzinger. Sa delle sofferenze inflitte a molti (anche appassionatamente legati al messaggio di Cristo) dai no che il Cardinale ha dovuto dire in nome della Chiesa. Che queste sofferenze abbiano colpito anche lui, intimamente e intensamente, traspare dal tono asciutto, lucido e razionale, ma mai trionfante, e persino un po' melanconico, con cui ha argomentato i suoi no.
Ma Benedetto XVI non è più il Cardinale. L'uomo è stato scelto per un compito nuovo, quello di Pastore di tutta la Chiesa.
Bella la sua lunga spiegazione dei simboli petrini: il pallio e l'anello del pescatore. In questo semplice modo Papa Benedetto ha assunto in pieno la responsabilità di Pastore che il compito di successore di Pietro gli ha assegnato. Lui, che per un solo anno ha vissuto in parrocchia, del lavoro pastorale ha conservato due esperienze vitali: il contatto con i fedeli che nel sacerdote vedono colui che porta la presenza di Cristo e l'incontro con il suo parroco; "Che non si limitava a dire che un sacerdote deve "ardere", ma era lui stesso un uomo che ardeva interiormente. Fino al suo ultimo respiro volle svolgere il suo servizio di sacerdote con tutte le fibre della sua esistenza. Morì mentre portava il viatico a un malato grave."* Le due immagini, quella di Giovanni Paolo II e quella del vecchio parroco, si saranno probabilmente sovrapposte nella mente del nuovo Papa quando ha parlato di Santi sulla scalinata della basilica di San Pietro, domenica 24 aprile.
Non presenta un "programma di governo" Benedetto XVI, fa molto di più: "Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui."
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* Da Joseph Ratzinger, "La mia vita", San Paolo, 1997.

 

"La mia vita"

Nella sua autobiografia il dotto e lucidissimo teologo lascia ampio spazio all'uomo che si concede ai ricordi e sul filo del sentimento trascina con sé il lettore.
Oltre metà è dedicata ai suoi ricordi giovanili, fino all'ordinazione sacerdotale e al suo anno di servizio pastorale nella parrocchia del Preziosissimo Sangue a Monaco. Gli anni della giovinezza sono quelli della formazione, una vicenda personale a cui fa da sfondo il dramma del nazismo e poi della guerra e la serena semplicità di una famiglia profondamente religiosa.
Gli anni dell'insegnamento sono appassionati, densi di studio, ma sono anche quelli nei quali diventa più acuta la sofferenza. Il teologo deve confutare le posizioni di alcuni suoi amici e allievi di un tempo, e cresce in lui il timore per quelle che egli percepisce come vere e proprie derive dottrinali: un voler mettere al centro il mondo e l'uomo da solo, relegando Dio e la Chiesa sempre più sullo sfondo.
Il racconto è semplice e i toni sono sempre dimessi, con sottili sfumature di humor. Come quando egli spiega i simboli scelti per il suo episcopato: la conchiglia e l'orso. Il primo è "segno del nostro essere pellegrini, del nostro essere in cammino", e simbolo, anche, della impossibilità di racchiudere la grandezza del mistero divino. L'orso è quello che, avendo divorato il cavallo di Corbiniano, viene condannato dal Santo a portare il peso che fino ad allora aveva portato il cavallo.

 

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Num 47 Maggio 2005 | politicadomani.it