Pubblicato su Politica Domani Num 47 - Maggio 2005

Tra Barbari e Romani
L'olivo nell'età medievale
Attorno all'olio fioriscono forme di protezione del prodotto che vanno dalla limitazione del commercio alla costruzione di apposite navi per il suo trasporto

di Alberto Foresi

Con lo sgretolarsi dell'Impero Romano sotto i colpi delle invasioni barbariche, la produzione di olio d'oliva subì un forte regresso. Si dissolse il sistema di produzione e di distribuzione elaborato dai Romani, caratterizzato da collegi di importatori e dall'arca olearia, una specie di borsa ove si trattavano partite di olio provenienti dalle province.
In età medievale gli oliveti erano solitamente di ridotte dimensioni, situati presso i feudi oppure presso fortilizi nelle aree di media collina, coltivati da poche famiglie unitamente al grano e alla vite. Solo in tali zone la produzione di olio proseguì ininterrotta, sia pur in quantità minore di un tempo. Per la spremitura delle drupe, come per i mulini, da tale epoca si cominciò ad utilizzare l'energia idrica, ragion per cui i frantoi erano generalmente posti lungo corsi d'acqua. Presso la maggior parte della popolazione l'olio d'oliva fu sostituito da grassi animali o, in taluni casi, da altri olii vegetali. Probabilmente anche nell'età antica la diffusione dell'olio era minore di quanto si potrebbe pensare basandosi sulla letteratura ad esso concernente. Non si può infatti escludere che i consumi di massa fossero già allora prevalentemente rivolti verso i grassi animali, e questo non solo nell'Italia settentrionale ma anche in quella centrale e meridionale. Le informazioni pervenuteci tramite gli autori latini sul consumo dell'olio sono probabilmente tendenziose, in quanto riferite principalmente alla situazione esistente a Roma, rifornita d'olio dall'Annona, prevalentemente fra le classi più elevate. Lo stesso trattato di arte culinaria di Apicio (I sec. d.C.), ove appare largamente impiegato l'olio d'oliva, non può essere preso come prova della diffusione di tale derrata in quanto, data la raffinatezza delle ricette in esso contenute, era rivolto principalmente ai ceti superiori della società capitolina. Se la coltura dell'olivo era meno diffusa di quanto le condizioni del suolo e del clima avrebbero consentito, ciò deve essere spiegato sia da ragioni culturali, cioè dalle varie usanze locali, sia da motivazioni economiche. In un'epoca di crisi, infatti, non era ritenuto opportuno investire in una pianta che, per cominciare a produrre, necessita di un'attesa di circa dieci anni. È stato inoltre ipotizzato che in età tardoantica ed altomedievale le comuni esigenze alimentari fossero soddisfatte da condimenti animali, riservando gran parte della produzione olearia agli usi liturgici. Nel medioevo i contadini ricevevano in gestione gli oliveti solitamente con contratti "ad laborandum", che prescrivevano la consegna al proprietario di metà del raccolto, o, qualora essi fornissero manodopera gratuita per alcuni giorni nei terreni curati personalmente dal proprietario, solo un quarto di esso. Oliveti di maggiori dimensioni si trovavano presso le grandi abbazie quali Bobbio e Farfa.
Grande interesse per il commercio dell'olio fu anche dedicato dai Comuni. A Firenze un regolamento comunale prescriveva che la vendita di olio fosse riservata a coloro che erano in possesso di un'apposita licenza; era inoltre vietato ai commercianti detenere più di quattro orci e portare la sostanza fuori dal contado senza una specifica autorizzazione. Dal XII secolo cominciarono ad essere stipulati contratti "ad infinitum", ovvero senza una scadenza stabilita, le cui condizioni prescrivevano un fitto pagato al proprietario in denaro o in natura, senza riferimenti alla produzione annua. Intorno a quest'epoca ai feudatari era subentrata la nascente borghesia cittadina nella proprietà degli oliveti, la quale trovava gli investimenti in oliveti assai redditizi, tanto che la coltura dell'olivo si estese fino alle valli alpine e addirittura alle rive della Senna. L'estensione delle zone riservate a tale coltura era anche dovuta alle difficoltà di trasporto e ai suoi elevati costi.
Mentre le repubbliche marinare di Genova e di Venezia rivaleggiavano fra loro per il controllo delle rotte commerciali, Firenze, non provvista di sbocchi al mare immediati, preferì dedicare maggiori attenzioni alla coltura dell'olivo, riuscendo non solo a coprire il proprio fabbisogno interno ma anche ad alimentare una cospicua e fruttuosa esportazione di olio, che si affiancava a quella vinicola.
Nello Stato Pontificio la produzione olearia era abbondante al punto che il governo papale stabilì che l'olio eccedente fosse immagazzinato presso abbazie, conventi e altri uffici governativi; a Roma l'olio necessario alla corte pontificia era conservato in enormi anfore poste all'interno di Castel S. Angelo, struttura fortificata ove erano stipati i viveri da utilizzare in caso di emergenza.
La ripresa dei commerci oleari fu anche di stimolo per il miglioramento dei mezzi di trasporto ad essi deputati. Per il trasporto dell'olio furono infatti studiate delle navi speciali, le marcigliane (o marsiliane), velieri leggeri dal fondo piatto, lunghi solitamente diciotto metri e larghi otto, dalla prua bassa, in grado di trasportare fino a cinquecento botti.

 

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Num 47 Maggio 2005 | politicadomani.it