Pubblicato su Politica Domani Num 47 - Maggio 2005

Potere spirituale e potere temporale
L'elezione del vescovo di Roma e successore di Pietro
Storia dei conclavi tra tarda antichità ed età moderna

di Alberto Foresi

Dalla tarda antichità al Medio Evo
Morto un papa se ne fa un altro. E ciò non paia blasfemo. Anzi. Il detto popolare, con la carica irriverente e dissacrante che spesso contraddistingue i romani, sembra proprio sottolineare il continuo perpetuarsi della dignità pontificia, nella consapevolezza che, di fronte alla temporaneità di ogni esistenza umana, l'eredità petrina si rinnova eternamente.
Così, dopo il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, abbiamo assistito, molti di noi per la prima volta, al conclave al termine del quale è stato prescelto il nuovo successore di Pietro nella persona del cardinale Ratzinger. Questa modalità di elezione è relativamente recente in quanto fino alla metà dell'XI secolo, dunque per metà della vita della Chiesa, tale rito si compiva secondo altre procedure. Il papa, infatti, altro non è se non il vescovo di Roma. Per tale motivo, a lungo la sua elezione non differiva sostanzialmente da quella di un qualsiasi altro vescovo: egli era eletto dal clero e dall'aristocrazia romana, elezione che veniva successivamente confermata dall'acclamazione popolare. Fin qui nulla di particolare caratterizzava la figura del vescovo di Roma. Tuttavia, il vescovo di Roma non è un vescovo qualsiasi: egli è il successore e l'erede di Pietro, al quale sono concessi, in base all'esegesi di un passo del Vangelo di Matteo, i poteri carismatici, primo di tutti il potere di sciogliere e di legare, simboleggiato dalle due chiavi, conferiti da Cristo al suo apostolo, gli stessi poteri che, applicando i principi del diritto ereditario romano, vengono direttamente trasferiti a tutti coloro che sono innalzati al soglio petrino. Tutti gli altri vescovi, dopo l'elezione nella propria diocesi e l'acclamazione popolare, dovevano recarsi presso la Sede romana per ricevere dal papa, accertata la liceità della scelta, l'ordinazione episcopale e, nel corso del proprio episcopato, rimanevano sempre soggetti all'autorità pontificia. Il vescovo di Roma, invece, viene sì eletto e consacrato, ma dopo risponde del proprio operato essenzialmente a Dio, unico esempio tuttora esistente di monarchia elettiva e, al contempo, assoluta. Anche oggi è previsto il pensionamento per raggiunti limiti d'età dei vari vescovi titolari di diocesi ma tale procedura non viene applicata al vescovo di Roma: dopo l'elevazione al soglio di Pietro solo la morte pone termine ad un pontificato.
Il ruolo preminente del vescovo di Roma su tutta la Chiesa non mancò, dopo la legittimazione del culto cristiano con l'editto di tolleranza, promulgato nel 313 da Costantino e Galerio, e il progressivo inserimento della Chiesa all'interno dei quadri amministrativi statali, di suscitare ben presto gli interessi degli imperatori. Già nel 554 Giustiniano, promulgando la Pragmatica Sanctio pro petitione Vigili, con la quale veniva estesa all'Italia la validità del Corpus Iuris Civilis, sancì che un neoeletto papa, prima di essere consacrato, doveva attendere la ratifica da parte della corte imperiale costantinopolitana. Decisione questa che denota in modo palese la concezione, volgarmente detta cesaropapista, tipica dell'Impero bizantino, secondo la quale il vero rappresentante di Dio sulla terra è l'imperatore, che doveva essere integro in ogni suo aspetto proprio per rispecchiare la perfezione divina e che spesso si definiva il tredicesimo apostolo; mentre i vescovi, compresi quelli delle sedi patriarcali di Roma e di Costantinopoli, erano assimilati a dei ministri preposti al culto, svilimento della propria autorità spirituale sostanzialmente accettata presso la Sede costantinopolitana, ma decisamente rifiutata dalla Sede romana.
Non diversamente, anche il ricostituito Impero Romano d'Occidente tentò più volte di porre sotto la propria autorità la Sede romana. A differenza dell'ampia autonomia concessa da Carlo Magno, l'imperatore tedesco Ottone I, della Casa di Sassonia, emanò nel 962 il cosiddetto Privilegium Ottonis con il quale egli si attribuiva la facoltà di scegliere l'erede di Pietro o, quanto meno, di ratificare con il proprio assenso la scelta effettuata. E, sia ben chiaro, non si trattava dell'esercizio di una semplice funzione di controllo. Alla metà del VII secolo, papa Martino I, restio ad accettare la politica religiosa dell'imperatore bizantino Costante II, fu da costui fatto arrestare e deportare prima a Costantinopoli e, successivamente, nel Chersoneso, ove in breve tempo morì per le sevizie patite, mentre veniva insediato al suo posto il più accondiscendente Eugenio I. Lo stesso Ottone I, deposto il legittimo pontefice Benedetto V, impose al soglio petrino il suo segretario personale, un laico, che assunse il nome di Leone VIII. Ottone III, nipote del fondatore della dinastia sassone, nominò papa suo cugino, Bruno di Carinzia, divenuto pontefice col nome di Gregorio V.

Dal Medio Evo all'età moderna
Fu proprio per sottrarre il papato alle pesanti ingerenze imperiali e, al contempo, alle trame delle più potenti casate dell'aristocrazia romana, sempre desiderose di impossessarsi del soglio pontificio, basti pensare ai crimini perpetrati dalla nobile e dissoluta Marozia agli inizi del IX secolo, che, dopo il Mille, sotto la spinta della riforma cluniacense, si cominciarono a prendere in considerazione nuove procedure elettive. Artefice del cambiamento fu il monaco Ildebrando di Soana, il quale indusse papa Niccolò II a pubblicare il 13 aprile del 1059 la bolla In nomine Domini, redatta dal cardinale Umberto di Silva Candida, con la quale si stabilivano le nuove modalità dell'elezione pontificia, modalità che, eccezion fatta per alcune modifiche, sono sostanzialmente ancora in vigore. Con la bolla papale si restringeva il corpo elettorale attivo ai soli cardinali-vescovi, mentre il clero inferiore e il popolo potevano esprimere solamente il proprio consenso con l'acclamazione. In essa si poneva anche termine alla tradizione che voleva l'erede di Pietro appartenente al clero cittadino, estendendo così il corpo elettorale passivo a tutti i membri della Chiesa. È interessante notare come proprio in occasione dell'ascesa al soglio di Ildebrando di Soana, papa Gregorio VII, tale procedura non sia stata rispettata. Morto nel 1073 Alessandro II, nel corso dello stesso rito funebre il popolo di Roma, sollecitato dal cardinale Ugo Candido, acclamò Ildebrando pontefice e, portatolo quasi a forza nella chiesa di S. Pietro in Vincoli, lo elevò al soglio petrino.
Oggi siamo abituati ad associare l'elezione pontificia con la città di Roma, sede storica del Papato. In realtà, nella bolla In nomine Domini si affermava che l'elezione poteva essere tenuta in qualsiasi luogo i cardinali-vescovi lo ritenessero opportuno, circostanza questa che più volte si verificò. Lucio III fu eletto a Velletri nel 1181 a causa dei contrasti allora esistenti tra la Chiesa e il Comune romani, contrasti che impedirono allo stesso Lucio di risiedere a Roma per buona parte dei quattro anni del suo pontificato. Famoso rimase il conclave che si tenne a Viterbo, il più lungo mai tenutosi, iniziato nel 1268 e concluso solo nel 1271, dopo che i viterbesi, esasperati dall'inconcludenza delle sedute, prima rinchiusero i cardinali, non consentendo loro alcun rapporto con l'esterno, poi ridussero il vitto degli elettori a pane e acqua; infine, preso atto dell'inefficacia dei provvedimenti presi, scoperchiarono il tetto del palazzo vescovile, ove si teneva l'assemblea, sì da esporre alle intemperie i cardinali e indurli a trovare finalmente un accordo. Proprio da tale circostanza, l'isolamento imposto agli elettori dalla reclusione cum clave, con la chiusura a chiave dall'esterno dei locali ove si tenevano le elezioni, deriva il termine conclave che indica questa particolare procedura elettorale, formalizzata pochi anni dopo, nel 1274, da papa Gregorio X con la bolla Ubi periculum. Alcuni conclavi si tennero, nel XIV secolo, in Francia, durante la cosiddetta cattività avignonese del papato, durante la quale il collegio cardinalizio perdette la sua originaria maggioranza italiana, e soprattutto romana, divenendo piuttosto l'espressione di particolari interessi d'oltralpe. Altri ebbero luogo in varie località italiane quali Perugia, Pisa, Sezze.
Al di là di tutti gli intrighi, traffici, alleanze ed accordi che spesso li hanno contraddistinti, la tradizione vuole che i conclavi non debbano essere considerati un puro e semplice consesso elettorale: l'animo degli elettori e le decisioni da loro prese dovrebbero essere posti sotto l'azione presente e attiva dello Spirito Santo, il grande elettore invisibile e forse, talvolta, anche un po' assente, basti pensare alle scelte cadute su personaggi quali Alessandro VI Borgia o Giulio II Della Rovere, grandi uomini politici ma non proprio esempi di specchiata virtù cristiana.
Un ultimo aspetto della riforma elettorale promossa da Ildebrando di Soana merita di richiamare la nostra attenzione. Egli, individuando nel collegio cardinalizio l'organo preposto alla designazione dei successori di Pietro, che diviene pertanto una scelta effettuata al di fuori della realtà politica e religiosa romana che sino ad allora l'aveva contraddistinta, sembra preannunziare uno dei grandi motivi di discussione che caratterizzeranno la vita della Chiesa di Roma dal Medio Evo sino ad oggi: il contrasto, tuttora presente nella Chiesa contemporanea, tra una visione conciliarista e una concezione teocratica ed assolutista del potere papale. Nella prima la guida della Chiesa è concepita in un'ottica di collegialità fra il pontefice e il collegio cardinalizio, con un ruolo attivo di quest'ultimo non solo all'atto delle elezioni ma anche nelle altre decisioni di politica ecclesiastica, giungendo persino a mettere in discussione il principio dell'infallibilità papale. Nella seconda, sostenuta da Gregorio VII, Innocenzo III, Bonifacio VIII e, pur in una mutata accezione, anche da Giovanni Paolo II, il papa, ottenuta l'investitura dal basso, non è più sottoposto ad altrui giudizio e acquisisce un potere assoluto dogmatico, spirituale, esecutivo e giudiziario sull'ecumene cristiana e sui suoi vescovi.

Bolla - Con tale termine si definisce il sigillo di piombo posto su di un documento. Per estensione indica il documento stesso e, in particolare, un documento prodotto dalla cancelleria pontificia autenticato da un sigillo plumbeo recante da un lato i volti di Pietro e Paolo, dall'altro il nome del pontefice sottoscrittore. Esse vengono denominate dalle parole iniziali del documento.

 

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