Pubblicato su Politica Domani Num 47 - Maggio 2005

Agonia di uno sport
Il calcio è finito
Soldi, intrecci, conflitti di interesse, violenze. Muore lo sport più bello

di Mauro Lodadio

"Il calcio è finito quando hanno ucciso Diego Armando Maradona". Scrive così il Pibe de Oro nella sua autobiografia. E si può essere d'accordo vista la fine dello sport più praticato al mondo. Il business televisivo e il merchandising ha reso ricchi i club più prestigiosi. Gli altri lottano per l'iscrizione alle categorie superiori. La logica del mercato è appendice della borsa d'affari. Le bandiere calcistiche scarseggiano e le curve danno il peggio di loro stesse.
In Italia, in particolar modo, esistono due grandi squadre, il Milan e la Juventus. Alle contraddizioni del primo club fanno da sponda quelle del secondo. Berlusconi, Presidente del Consiglio e Presidente del team rossonero; Galliani, Vicepresidente del Milan ma anche Presidente della Lega Calcio Italiana. Moggi, Direttore Generale del club bianconero e padre fondatore della Gea, società di procuratori che guidano la maggior parte dei calciatori, allenatori e direttori sportivi della galassia calcistica italiana.
Il doping assale gli esordienti. Dai dilettanti si trasferisce ai campioni. Ma nessuno ha mai pagato. Il processo alla Juve va su questa strada. Si possono dopare gli atleti, senza il consenso della società? Zeman, allenatore del Lecce, da tempo lontano dai campi di gioco per aver sollevato il caso, sembra aver avuto ragione.
Non è vero, dunque, che le colpe sono dei tifosi. Delle curve politicizzate e degli scontri che da troppo tempo contraddistinguono i pre-partita. Gli ultras più sfrenati si conoscono da tempo. Non a caso uno dei protagonisti del lancio di fumogeni a San Siro che ha bloccato il derby internazionale di Champions League, sia lo stesso che ha gettato anni fa un motorino dagli spalti del San Siro. Anche qui a surriscaldare gli animi un errore arbitrale. Vanno fermati gli uni e gli altri. Va fermato il calcio pilotato e comandato. Vanno fermati gli arbitri sudditi dei ricchi. Vanno fermate le provocazioni in campo.
Nel nostro paese il clima di una gara si accende all'inizio della settimana. Si rincorrono voci, si smentiscono dichiarazioni, si ricorda il passato. Il pre-partita si arroventa. E la medesima atmosfera si respira in campo e sugli spalti. La maggior parte delle volte sono le parole dei dirigenti e degli "addetti lavori" a ledere la qualità dei match. La carenza arbitrale completa il disastro.
Il calcio italiano si trova in una parabola discendente. Posticipi serali, anticipi pomeridiani e recuperi. La logica televisiva ha fatto breccia. Murdoch ha superato la Rai e Mediaset ha risposto con il digitale terrestre. La partita si gioca troppo lontano dai campi. Si è mediatizzata ed ha fagocitato l'intero sistema.
Vittime del "progresso" calcistico sono gli stessi tifosi. Gli ultras. La loro mentalità e la loro tribù. I loro riti e le loro invenzioni. Si ritrovano, loro malgrado, dentro un reality. E nei loro stadi entrano i ragazzi del Cervia, televotati dal pubblico, più attori che calciatori. I veri tifosi, quelli che piangono per una sconfitta ma anche per una vittoria, non ci stanno. Lottano. E si oppongono. Si legano alle bandiere, ai vari Totti, Lucarelli, Maldini, Di Canio e tifano "solo la maglia".

 

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Num 47 Maggio 2005 | politicadomani.it