Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Good Friday
Il Venerdì Santo nella tradizione USA
Il bombardamento di Treviso del 7 aprile 1944

di Alberto Foresi

È il 7 aprile del 1944. Nonostante quattro anni di guerra la vita continua, per chi è ancora vivo, perché, in fondo, l'uomo si adatta a tutto. Dopo il periodo iniziale, con il fronte lontano da casa, la guerra bussa alle porte d'Italia, di un'Italia divisa in due tra Tedeschi e Angloamericani, tra un'ex amico divenuto occupante e un ex nemico che tenta faticosamente di conquistarla. Ma il 7 aprile non è un giorno qualsiasi: è il Venerdì Santo, il giorno del sacrificio di Cristo, solennità forse ancor più sentita in quell'età di lutti e sofferenze; anche in guerra si pensa non debba scomparire ogni regola umana e, in certe ricorrenze, si spera valga una sorta di tacita tregua. Sono le 13 e 20, l'ora in cui gli alunni escono da scuola, i lavoratori tornano a casa dove le donne cucinano. Sopra Treviso il cielo si oscura; duecento bombardieri statunitensi B17, protetti da numerosi caccia, coprono la città e iniziano a bombardare. L'attacco durò poco più di cinque minuti durante i quali furono sganciate circa 2600 bombe. Al termine del bombardamento l'80 per cento degli edifici della città veneta, sia abitazioni civili che i principali monumenti storici ed artistici, era distrutto. Le vittime furono quasi 2000. Nello stesso momento analoghi bombardamenti si abbattevano su Mestre e Padova, con simili conseguenze in termini umani e materiali. Era l'operazione Good Friday, accuratamente pianificata da lungo tempo dai comandi angloamericani, parte integrante dell'operazione Strangle (strangolamento), volta ad impedire il traffico tedesco che da Nord si dirigeva verso il fronte (bloccato in quel momento nella zona intorno a Cassino) e, di conseguenza, a "interdire" il flusso delle comunicazioni e dei rifornimenti del nemico dalla Germania verso l'Italia centro-meridionale.
L'obiettivo dell'incursione aerea era principalmente la distruzione dello snodo ferroviario che faceva capo alle tre città venete; tuttavia, l'operazione si risolse in un massacro ed in una devastazione fino ad allora senza precedenti. E questo nonostante si fosse trattato di un bombardamento diurno, tipologia preferita dagli Statunitensi proprio perché consentiva di colpire gli obiettivi con maggiore precisione rispetto a quelli notturni, privilegiati dagli Inglesi in quanto esponevano a minori rischi i velivoli e i loro equipaggi. In realtà la distruzione delle abitazioni civili e il massacro dei cittadini inermi non era semplicemente quello che ora si definirebbe un effetto collaterale ma probabilmente era parte integrante di una precisa strategia. A Treviso come a San Lorenzo; a Montecassino, rasa al suolo quando non vi era nemmeno un soldato tedesco al suo interno; a Tivoli, fatta oggetto di due ondate di bombardamenti in rapida successione, così da colpire, al secondo passaggio, coloro che si erano affrettati a portare soccorso alle vittime; a Cori, le cui chiese all'interno di una delle quali si credeva vi fosse un comando tedesco, furono distrutte una domenica mattina, quando erano gremite dai fedeli accorsi per la Messa. A Velletri, a Dresda, a Hiroshima e Nagasaki, unico caso di utilizzo di armi nucleari. In Vietnam, in Afghanistan e oggi, per la seconda volta, in Iraq, il fine dei bombardamenti non è puramente militare ma si inserisce in una precisa strategia finalizzata a colpire luoghi simbolici, meglio se in particolari ricorrenze, per fiaccare la resistenza fisica e morale delle popolazioni nemiche. E non furono, purtroppo, solamente gli Americani a mettere in atto simili strategie. Due secoli fa il generale prussiano Von Clausewitz, nel suo trattato Sulla Guerra, sostenne che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Potremmo oggi dire che il terrorismo è la continuazione della guerra con altri mezzi. In tutti questi casi, infatti, il margine fra strategia militare e terrorismo diviene sempre più labile, verso una forma celata di terrorismo che, oltre ad arrecare danni umani e materiali indistintamente tra civili e militari, mira a diffondere tra i sopravvissuti il terrore, a demoralizzare gli animi, ad indurre il nemico alla resa di fronte all'impossibilità, prima di tutto interiore, di resistere ed opporsi a devastanti manifestazioni di violenza indiscriminata.

 

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