Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Mass media e pluralismo
Televisione, una storia italiana
Il nuovo Sistema integrato delle comunicazioni e l'allargamento dell'Impero

di Mauro Lodadio

Quando Berlusconi scese in politica nel lontano 1992, Mediaset era un patrimonio che lavorava per colui che sarebbe diventato Presidente del Consiglio. Le tre reti formato biscione si adoperarono sin dall'inizio per catalizzare voti e condurre alla vittoria l'azienda. L'errore della sinistra in quel periodo fu di sottovalutare l'importanza del possesso di una cosí sviluppata rete mediatica. Chi non ricorda la martellante campagna elettorale introdotta dal Cavaliere? I suoi sorrisi e le sue parole richiedevano attenzione. Le sue scommesse e le sue promesse avrebbero portato al nostro paese un posto al sole. La portata mediatica di Berlusconi é la chiave del suo successo. Ora la comunicazione é l'arma in piú per salire a Palazzo Chigi.
É a quegli anni che risale la tanto bistrattata sentenza numero 420 della Corte Costituzionale chiamata a pronunciare la legittimitá costituzionale dell'articolo quindici della legge 223 del 1990 relativa al pluralismo informativo. L'articolo in questione assegnava un massimo di tre reti televisive a livello nazionale. Nella pronuncia, la Corte dichiarava illegittimo e quindi incostituzionale lo stesso articolo che disciplinava il pluralismo informativo. Nello stesso tempo, peró, in attesa di una nuova riforma del sistema radio-televisivo, consentiva che i soggetti titolari del numero di concessioni dichiarate illegittime, continuassero ad operare sulla base di concessioni appunto a durata transitoria. Sono passati ben dieci anni e la sentenza della Corte Costituzionale é stata sorpassata da una legge, quella Gasparri, che é riuscita a salvare Rete 4, la rete che era destinata al satellite. I mass media ci raccontano (sarebbe meglio dire: alcuni giornali e un solo telegiornale) che al momento della firma da parte del Presidente della Repubblica Ciampi alla Legge Gasparri, Emilio Fede si sia arrabbiato con la sua redazione. Sembra che quest'ultima, infatti, non avesse ringraziato a dovere il Ministro delle telecomunicazioni Gasparri per aver scongiurato il "trasloco" della rete sul satellite. Il curioso aneddoto spiega davvero tutto.
La storia di questi giorni ci racconta che la parola d'ordine introdotta dalla Legge Gasparri, é quella dell'allargamento dei confini dell'Impero. Avevano visto lungo i Girotondi. La Rai, dopo le dimissioni dell'Annunziata, si trova blindata da uomini della maggioranza nei posti chiave. L'obiettivo é semplice: quello di avere il controllo di un'informazione sempre piú allo sbando alla vigilia del voto. Ed avvisaglie ce n'erano state. Santoro, Luttazzi, nel passato; Guzzanti, Lucarelli e Rossi nel presente; la censura é diventata prioritaria in un paese confinato agli ultimi posti della classifica (dopo il Madagascar) sul pluralismo informativo.
Sempre meno informazione tra le offerte mediatiche televisive. Sempre meno politica. Quasi ci si volesse vergognare dello stato impietoso che si sta vivendo. Star decadute si cimentano in reality show d'alto contenuto avventuriero, giovani ragazzi incollati davanti al sequel del Grande Fratello.
La televisione di adesso puó regalare una credibilitá politica a questa classe dirigenziale? Non sembra proprio. Del resto il contesto in cui viviamo é lo specchio delle offerte proposte da Rai e Mediaset. Meglio allargare gli orizzonti. Ed ecco che la Mondadori vuole espandersi e comprare emittenti. Gli effetti della Gasparri sono immediati. Le notizie rilevate da ”l'Espresso” evidenziano che Radio 105 e Montecarlo sono entrati nel mirino, tra gli obiettivi, cioé, della casa berlusconiana. "I paletti antitrust - si leggeva tempo fa ne "l’Espresso"- fissati dalla Maccanico del 1997 indicavano al 30% il limite massimo della concentrazione possibile per ciascun soggetto. Poi é arrivata la Legge Gasparri che ha spianato la strada all'espansione delle aziende del Cavaliere. Grazie al Sistema integrato delle comunicazioni (vedi a lato), le societá di Berlusconi potranno crescere di un altro 60% rispetto alle loro dimensioni attuali. Inutile calcolare l'aumento degli introiti. In termini di fatturato, si passerebbe, infatti, da circa 7 mila miliardi agli 11 mila miliardi del vecchio conio. E avendo giá fatto il pieno nella carta stampata e nella televisione, all'appello mancava soltanto il mondo radiofonico.
Nel contratto firmato da Vespa, ovvero nell'appendice istituzionale del Parlamento, il Cavaliere Berlusconi aveva promesso di risolvere il conflitto di interessi. Ci troviamo di fronte ad un semplice tentativo o ad una nuova legge fatta su misura? Sarebbe da dire che negli ultimi quattro anni gli italiani hanno apprezzato la buona volontá ...

 

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Num 46 Aprile 2005 | politicadomani.it