Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Dentro la grande muraglia
Taiwan, una questione internazionale
Votata dal Parlamento cinese una legge che prevede l'intervento militare della Cina in caso di secessione dell'isola

di Mauro Lodadio

Ufficialmente parte della Cina, in sostanza isola indipendente. Un'eredità pesante che viene da lontano. Dalla guerra fredda, precisamente. Quando, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, le truppe nazionaliste sconfitte dai comunisti si rifugiarono nell'isola. Gli autoctoni scomparvero e i nuovi arrivati adottarono sin dall'inizio una politica lontana da quella della madre patria. Pechino sottolinea la sostanziale uguaglianza di cultura, lingua e tradizioni. In realtà teme che "donare" una maggiore indipendenza a Taiwan favorirebbe ulteriormente altre spinte indipendentiste. In particolare quella Tibetana e di Xinjiang, regioni con forti sentimenti secessionisti, a cui si sommano popolazioni di etnie lontane da quella cinese.
È in questo contesto che a metà marzo la Cina ha fatto uso esplicito di una possibile opzione militare nell'isola di Taiwan. Un voto entusiastico di 2896 deputati dell'Assemblea Nazionale del Popolo. A referto, nessun contrario e due soli astenuti. "La Cina persegue l'obiettivo di una riunificazione pacifica", ha esordito il primo Ministro Wen Jiabao. Qualora non fosse possibile, Pechino potrebbe adottare la forza e altre misure necessarie per proteggere l'integrità del suo territorio. Non si tratta di una "legge di guerra", ha precisato Jiabao. L'annuncio di Pechino giunge improvviso ma non inatteso. Taiwan non intende rinunciare all'indipendenza. La Cina si oppone con fermezza. I negoziati sono da tempo in una fase di stallo.
Il clima si fa quindi infuocato. A Taipei, capitale di Taiwan, i parlamentari hanno bruciato una bandiera cinese per protesta, chiedendo espressamente ai cittadini di scendere in piazza a manifestare. La verità è che gli abitanti della "provincia ribelle" si sono trovati nel bel mezzo della geopolitica mondiale.
Passiamo in rassegna le reazioni delle maggiori potenze della Terra e cerchiamo di capirne di più. Washinghton ha chiesto alla Cina di fare marcia indietro. Condoleeza Rice, Segretario di Stato Americano, ha definito la legge "non necessaria" e destinata a "far salire la tensione". Il portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan, ha definito la legge "deplorevole" perché "non utile all'obiettivo della pace e della stabilità nello stretto di Taiwan". "Gli Usa - ha concluso - sono per una sola Cina e non appoggiano l'indipendenza di Taiwan." Che c'è di vero in queste dichiarazioni? Gli Stati Uniti sono da sempre il miglior alleato di Taipei. Se la Cina si è sentita in grado di varare una legge anti-secessione, significa che i cinesi tengono in scacco più di quanto si possa pensare l'America. Soprattutto in termini economici.
Dall'altra parte anche il Giappone si è fatto sentire. Lo stallo delle negoziazioni tra Pechino e Taiwan non poteva che far bene agli interessi economici giapponesi nella regione. La ricchezza e le esportazioni di Taiwan potrebbero in futuro muoversi in una sola direzione. Koizumi, premier dell'isola nipponica, ha espresso il timore che la legge possa avere "un impatto negativo sulla pace e la stabilità dell'intera regione e sulle relazioni tra Cina e Taiwan." In verità Tokio non riconosce Taiwan come paese indipendente e cerca di mantenere buoni rapporti con la Cina. Un doppio gioco che Pechino conosce bene. Il Giappone ha sempre avuto particolari interessi rispetto a Taiwan, il che ha creato spesso tensioni con la Cina stessa.
Infine la Russia. Mosca ha reagito "con comprensione" alla legge approvata dal Parlamento cinese. Nel contempo ha tuttavia sottolineato l'importanza del rispetto degli impegni assunti da Pechino per una soluzione pacifica del contenzioso. La Russia sostiene da tempo il principio secondo il quale "esiste una sola Cina al mondo e Taiwan ne è parte integrante". Secondo un parlamentare russo "è essenziale evitare un'escalation di tensione della regione." La reazione "soft" di Mosca si traduce in chiave politica con una sempre più stretta vicinanza ideologica, economica e politica tra le due nazioni. L'opinione degli "addetti ai lavori" è unanime. Se la Cina ha avuto il coraggio di sfidare apertamente gli Stati Uniti, significa che è in grado di rimpiazzare Bush nel ruolo di leader mondiale.

 

A chi appartiene Koguryo?
Non esiste più ma sul suo possesso si accapigliano Cina e Corea del Nord. Si tratta del regno di Koguryo (37a.C. - 668 d.C.) che si estendeva dall'attuale Mongolia (a sud est) fino alla Corea del Nord. Per i coreani è uno dei pilastri, insieme a Shilla e Paecke, su cui poggiano la cultura e l'identità della Corea. Per Pechino è solo il territorio di una minoranza etnica del vasto impero cinese.
Questi i fatti della contesa. Pechino ha cancellato dal sito del Ministero degli Esteri cinese tutti i riferimenti a Koguryo come ad uno dei tre regni della storia antica della Corea. Tecnici, archeologi e legali sud coreani si sono visti negare l'accesso ai siti archeologici di Koguryo sul territorio cinese per cavilli burocratici. Il governo cinese ha stanziato 2,2 milioni di dollari per tentare di dare validità alle sue tesi su Koguryo (Progetto Nord-Est Asiatico). Sia la Corea che la Cina hanno chiesto all'UNESCO di dichiarare i siti archeologici di Koguryo patrimonio dell'umanità nella speranza che la regione fosse attribuita all'una o all'altra. Sono stati invece dichiarati patrimonio comune. In risposta alle critiche di voler riscrivere la storia a proprio favore, il governo di Pechino ha aumentato i fondi della Fondazione Ricerca Koguryo per il monitoraggio di testi, scolastici e non, che trattano la storia del paese.
In realtà la contesa è parte di un gioco più grande. La Corea è preoccupata che questi episodi nascondano tentativi espansionistici della Cina. Gli stessi che sono stati messi in atto nei confronti di Taiwan che - sostengono alcuni storici - è diventata per la Cina provincia inalienabile solo dopo il 1943. La Cina teme che le due Coree, eventualmente unificate possano reclamare per sé il vasto e prezioso territorio.

 

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