Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Processo di pace
La questione di Gerusalemme
Lo status giuridico della città santa al centro dell'attenzione internazionale e dei colloqui fra israeliani e palestinesi

di Maria Mezzina

Una città provinciale deludente e maleodorante, per nulla spirituale. È questa la Gerusalemme di Herzl e Weizmann, padri e leader del sionismo. Un giudizio sulla città santa per eccellenza su cui concordano anche due raffinati scrittori dell'ottocento, Mark Twain e Alexander Kinglake.
Ora questa città è diventata uno dei punti nodali nel processo di pace fra israeliani e palestinesi. Ma non è stato sempre così. Gerusalemme è diventata oggetto di contesa solo dopo il 1967. Prima di allora - afferma Bernard Wasserstein, londinese, professore di storia ebraica contemporanea presso l'Università di Chicago1 - ebrei e palestinesi concordavano su una divisione formale della città: la parte ovest, dove si trovano i quartieri ebraici, sotto il controllo degli israeliani; la parte orientale a maggioranza araba e cristiana sotto il controllo palestinese. Una condizione da allora che verrà considerata lo "status quo" di Gerusalemme.
Quando, nel 1947, la comunità internazionale decide di costituire nella regione uno stato di Israele indipendente, Gerusalemme viene dichiarata territorio internazionale. La decisione tiene conto dell'unicità della natura dei luoghi, sacri alle tre religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo e islam. Nel '48 la città è divisa in due: la parte occidentale va agli israeliani e quella orientale (inclusa la città vecchia con la spianata delle moschee e il sottostante Muro del pianto) ai palestinesi. Da allora Gerusalemme rimane formalmente separata senza che nessuno dei due popoli pensi di rivendicare per sé il diritto di sovranità esclusiva.
Il conflitto arabo-israeliano è conseguenza delle decisioni del '47. È solo allora che, nelle speranze sia degli ebrei che dei palestinesi, la città, da piccola provincia, diventa la futura capitale. Ma sono gli ebrei, costantemente preoccupati di consolidare la loro posizione in medioriente e di difendere lo Stato appena nato, ad essere i più decisi. Nel 1950 il Parlamento israeliano (Knesset) proclama Gerusa-lemme capitale dello Stato di Israele. La decisione preoccupa gli arabi. Non più di tanto, però, perché la comunità internazionale non riconosce alla città il nuovo stato giuridico e le ambasciate rimangono a Tel Aviv. Gerusalemme è, quindi, soltanto la capitale "simbolica" dello Stato di Israele. Lo "status quo" è salvo.
È solo nel 1967, in seguito alla guerra dei sei giorni2, che lo "status quo" viene sconvolto.
Gli israeliani si impadroniscono dell'intera città, oltre che di gran parte dei territori palestinesi (West Bank e Gaza). Le risoluzioni dell'Onu che intimano ad Israele di ritirarsi dai territori occupati e da Gerusalemme rimangono lettera morta. Anzi, nel 1980 la Knesset proclama Gerusalemme "capitale eterna una e indivisibile" dello Stato ebraico. Una decisione da cui non recede nonostante le proteste della comunità internazionale e le preoccupazioni della comunità cristiana, sempre attenta a difendere la sacralità e l'accessibilità dei luoghi Santi del Vangelo.
Per il palestinesi - spiega Wassestein - Gerusalemme si identifica con le aree della città abitate dagli arabi incluse, al più, quelle che erano state arabe prima che i suoi abitanti fossero stati costretti ad emigrare in conseguenza della politica di progressiva espansione israeliana. La città vecchia, quindi, e i quartieri musulmani e cristiani ma non i quartieri ebraici e armeni.
Per gli israeliani invece, dopo la decisione del 1980, l'ipotesi di restituzione della città agli arabi, diventa del tutto impraticabile.
Negli ultimi venticinque anni però molto è cambiato. Dopo due intifade, più di quattro anni di violenze, 3.600 vittime palestinesi ed oltre 1.000 israeliane - prova della totale inutilità della politica inequivocabilmente aggressiva israeliana e di quella tragicamente suicida palestinese - si è giunti alla convinzione che è necessario ritornare all'originale "status quo" della città di Gerusalemme: una città e due capitali. Questo, almeno, è ciò che affermano alcuni dei più autorevoli protagonisti della storia di questi giorni.
Da piccola, insignificante e persino maleodorante città di provincia, Gerusalemme si è trasformata in simbolo, ideologia, storia, religione.
Così parla di Gerusalemme Shimon Peres in un'intervista3 : "Non è solo ideologia, è anche storia. Storicamente Gerusalemme non è mai stata una capitale araba. Anche quando i giordani hanno occupato Gerusalemme est, essi non l'hanno mai resa la capitale. Dall'altra parte, per quanto concerne la storia di Israele, noi non abbiamo avuto nessun'altra capitale all'infuori di Gerusalemme. Così è quasi normale che noi consideriamo Gerusalemme contemporaneamente il nostro centro di preghiera, di speranza e di amministrazione."
Peres riconosce la complessità religiosa della questione Gerusalemme, luogo santo per eccellenza dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam. Egli sa che la città non può essere chiusa né può essere materialmente divisa. Non indica però una soluzione al problema perché, dice, annunciare una soluzione vuol dire ucciderla. Indirettamente, però, la indica quando concorda implicitamente con la posizione palestinese favorevole a una città aperta a tutti e senza divisioni. Una città che è anche due capitali: Gerusalemme Ovest capitale di Israele, e Gerusalemme Est, capitale della Palestina.
Si tratta quindi, ancora una volta, del ritorno al rispetto dello "status quo". Una soluzione che è in linea con quanto è esplicitamente previsto nel documento Beilin-Abu Mazen del 31 ottobre 1995 e con quanto è scritto nell'accordo di Ginevra del 1 Dicembre 2003.
Superata l'intransigenza, conseguenza peraltro di atteggiamenti e comportamenti improntati a violenza e disprezzo degli uni nei confronti degli altri, la soluzione sembra a portata di mano.
Occorre ora una forte volontà politica e una chiara strategia, possibilmente per piccoli passi, come auspica Peres.

1) L'intervista con lo studioso di fama internazionale si trova, in inglese, sul sito www.vision.org .
2) Guerra dei sei giorni: 5-10 Giugno 1967. Ma le operazioni militari durarono solo quattro giorni.
3) Intervista su www.vision.org, in inglese.

 

Homepage

 

   
Num 46 Aprile 2005 | politicadomani.it