Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Delitto e castigo
Una pena inutile e disumana
Il carcere, una realtà senza prospettiva e senza speranza

di Angelo Bottaro
(Associazione VOLARE)

Mettiamo la prima cosa in chiaro: nessun pietismo, nessun perdonismo, nessuna sottovalutazione del reato e soprattutto rispetto e solidarietà per tutte le vittime di qualsiasi violenza. Il crimine e la criminalità sono fenomeni reali, gravi, dolorosi, laceranti, non di rado incomprensibili e sconvolgenti, che vanno combattuti e puniti.
Mettiamo la seconda cosa in chiaro: anche il terrorista, anche il matricida, perfino il pedofilo sono e restano persone. Un conto è il comportamento, finanche il più atroce ed intollerabile, altro conto è la persona umana. Se si vuole concretamente parlare di Giustizia il punto di partenza è quello di convincersi che anche il peggior delinquente è e resta una persona. L'essere umano è il massimo valore esistente a motivo della sua intelligenza, della sua libera volontà, della spiritualità che lo anima e, per coloro che hanno fede, della promessa e del destino che l'attende. La dignità non può essere svilita, snaturata, alienata nemmeno dal peggior male che l'uomo, singolo o associato, possa compiere. L'errore, l'azione criminale, il male, la violenza, la perversione, l'odio certamente pongono in discussione, indeboliscono e deturpano la persona, ma non possono distruggerla, né possono in alcun modo declassarla ad una dimensione inferiore, alla emarginazione o alla esclusione dal contesto civile: il delinquente, qualsiasi delinquente, è e resta un uomo, sempre.
Ogni essere umano, inoltre, è e deve restare parte integrante della comunità. Un sistema penale o un contesto sociale che nei confronti dell'autore di un reato implichi disconoscimento, indifferenza, emarginazione, rifiuto, disprezzo, annullamento, rinnegamento non favorisce e non salvaguarda il bene comune, né tanto meno rende giustizia.
Perché non esistono persone buone e persone cattive: in ogni uomo bene e male convivono, a livello conscio ed inconscio. Anche quando sbaglia e manifesta la parte peggiore di sé, l'uomo conserva diritti e doveri fondamentali e tra questi il dovere di prendere coscienza del male commesso e di assumere le proprie responsabilità, il diritto di essere difeso e di scontare una pena proporzionata all'azione commessa, ma soprattutto il diritto-dovere di correggersi, di cambiare e, laddove possibile, di riparare al male commesso.
Non facciamo finta di non sapere che il reato è un fenomeno di disordine collettivo prima ancora che individuale. Il crimine scaturisce da un disagio sociale o familiare, da un degrado che è ben difficile non ricollegare e non imputare anche alla collettività. Il comportamento delinquenziale non può essere liquidato semplicisticamente e ipocritamente come una responsabilità da scaricare per intero sul singolo. Una devianza dalle regole, causata da ignoranza, da mancanza di opportunità,da carenze e da irresponsabilità, da asocialità, da esempi negativi e da mode trasgressive, da condizioni di solitudine, di abbandono, di miseria, da istruzione insufficiente, da cattivi modelli educativi pone troppe domande perché possiamo liquidare la questione affermando che la faccenda non ci riguarda e che chi finisce in galera se l'è cercata ed ha solo quello che merita.
Analizzando oggettivamente la situazione del nostro sistema carcerario ne scaturisce l'amara conclusione che laddove la punizione continui ad assumere la funzione prevalente dell' occhio per occhio, dente per dente finisce con l'essere inutile, insensata, disumana ... Non a caso si afferma che chi entra in carcere per la prima volta entra lucertola ed esce coccodrillo.
La società cosiddetta civile e politically correct, coloro che regolano e determinano il corso della giustizia devono persuadersi che il comportamento delinquenziale non può essere soltanto represso, ma deve essere prevenuto, curato, sanato con ogni mezzo. Per questo occorre un esame critico, un cambiamento di mentalità, una graduale ma effettiva inversione di rotta.
Della realtà del carcere l'uomo della strada percepisce poco o nulla, pregiudizi e luoghi comuni a parte. Non conosciamo il nome del vicino della porta accanto e non possiamo pretendere di comprendere e di giudicare la storia, i sentimenti, le paure, la rabbia di chi sta in carcere, in un contesto ambientale che non possiamo neppure immaginare perchè diverso, complesso e lontano anni luce dalla nostra quotidianità. La televisione e il cinema ci ripropongono stereotipi e immagini distorte. Se vogliamo cercare la verità e provare ad intuire e a percepire la realtà del carcere oltre che con gli occhi dobbiamo imparare a guardare e ad ascoltare anche con il cuore. È una regola valida per tutti i problemi della vita, ma riguardo al carcere è obbligatoria.
Il carcere allo stato dei fatti, alla luce dell'esperienza e per ammissione di tutti gli operatori non cambia e non migliora nessuno (salvo rare eccezioni), non salvaguarda nessuno, non risolve i problemi di nessuno. Il carcere serve a fermare il tempo, a burocratizzare l'esistenza quotidiana fino al ridicolo e al paradosso, a svilire e a costringere ad una passività talvolta rabbiosa, talvolta disperata, ad annoiare mortalmente, ad abbrutire, a svuotare l'anima, a reprimere sentimenti e a perdere valori, ad annullare la personalità, a togliere la voglia di esistere. Il carcere, come attualmente concepito, non è nella condizione di educare al riconoscimento e al pentimento del male commesso. Il solo fatto di aver messo piede in carcere scatena nei confronti del colpevole un automatico ed inappellabile atteggiamento di rifiuto, un marchio inesorabile e indelebile di condanna.
La comunità non può e non deve delegare la gestione del crimine e dei colpevoli esclusivamente al personale e alle strutture dello Stato. Per cambiare una situazione in cui tutti siamo perdenti, dobbiamo farci carico non solo di reprimere, ma di recuperare esistenze sbagliate, mettendo a disposizione risorse umane, lavoro, strutture, mezzi economici e soprattutto accoglienza, la sola che può infondere fiducia e aprire per coloro che hanno commesso il male un cambiamento lento, difficile, ma non impossibile. La strada da percorrere è tantissima, perché la comunità rifiuta o è lenta ad assimilare la mentalità della riconciliazione e quindi del recupero e della reintegrazione. Per aprire una nuova prospettiva occorre l'impegno dell'intera collettività e un cambiamento radicale di mentalità.
"Così devono essere le punizioni ed i processi: fenomeni di rapido passaggio che non vanno tirati per le lunghe. Le prigioni devono essere luoghi che accolgono solo gente di passaggio, come degli ospiti. Esse non devono diventare stabili dimore di uomini."

 

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