Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Politiche aziendali
Outsourcing
Quando la realtà supera la fantasia in termini di diritti (negati) dei lavoratori

di Fabio Antonilli

Immaginate un'impresa che pian piano cede parti della sua attività e appalta fasi del processo produttivo ad altre imprese fino al punto da operare senza dipendenti a carico e, dunque, senza oneri retributivi e sociali. Questa è l'esternalizzazione, detta anche outsourcing.
Come esempio c'è la sede fiorentina della Telecom che in quattro anni ha lentamente smantellato quasi tutti i suoi reparti: spedizioni, stampa bollette, automezzi, amministrazione del personale, logistica, sono solo alcuni dei servizi dismessi. "L'azienda ha espulso i lavoratori lentamente, senza traumi improvvisi, forse per non suscitare la reazione forte dei lavoratori" hanno detto i sindacati.
Ma quali garanzie ci sono per i lavoratori in queste situazioni? Proviamo un po' a vedere cosa dice il decreto legislativo 276/2003. La legge (impropriamente chiamata "legge Biagi") prevede che sia in caso di "appalto di ramo d'azienda" che in caso di "servizi" il committente e l'appaltatore sono entrambi responsabili delle obbligazioni verso il dipendente dell'appaltatore. Con una sola incomprensibile differenza: che nel caso di appalto di servizi l'obbligo solidale del committente è limitato ad un anno dalla cessazione dell'appalto. Questo significa due cose: che si crea una disparità di trattamento fra i lavoratori - e ciò è incostituzionale - e che questa responsabilità "a due" finisce, paradossalmente, col deresponsabilizzare gli imprenditori non solo dinanzi ai lavoratori ma anche verso le organizzazioni sindacali.
Questa normativa, poi, va letta parallelamente all'abrogazione, per intero, della legge 1369/60 che prevedeva l'obbligo, per gli imprenditori committenti, di corrispondere ai lavoratori dipendenti dell'appaltatore un trattamento dal punto di vista salariale e delle tutele "non inferiore a quelle spettanti ai lavoratori da loro dipendenti". È evidente che venendo meno il principio della "parità di trattamento" le situazioni volgono a tutto vantaggio del datore di lavoro. Si accentua così ancor più lo squilibrio fra lavoratore e datore di lavoro (a favore di quest'ultimo) che da sempre esiste nel mercato del lavoro.
La stessa legge favorisce le cosiddette "esternalizzazioni di comodo", cioè la possibilità per le imprese di esternalizzare uno o più reparti - purché queste dimostrino la loro autonomia funzionale rispetto all'intero processo produttivo - in modo da creare tante piccole aziende, formalmente autonome rispetto all'"azienda madre"; con un numero di lavoratori inferiori a 15 per eludere gli obblighi dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Il vincolo dell'"autonomia funzionale", però, può anch'esso essere facilmente raggirato e ne costituisce una prova un caso giudiziario che ha suscitato grande clamore. La società Ansaldo Energia al momento di cedere alcuni dei suoi "centri di costo" al Consorzio Manital aveva formato un'unità produttiva che si occupava, non di servizi specifici, ma di "servizi generali". Vi era stato collocato, infatti, personale eterogeneo e l'unità non presentava il requisito dell'autonomia funzionale. Era nata, dunque, al solo scopo di creare una "cessione di comodo". Cessione che il giudice ha definito fraudolenta ed ha, di conseguenza, bloccato.

 

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