Pubblicato su Politica Domani Num 46 - Aprile 2005

Il boom di Bollywood
L'esplosione del cinema indiano
L'industria cinematografica maggiore al mondo, in un Paese afflitto dalla povertà

di Marianna Berti

Basta cambiare una H con una B e da Hollywood si arriva a Bollywood, dagli USA all'India. Studios, attori, star, registi, produttori, distributori, circa mille film all'anno. Dall'altra parte un pubblico affamato, 13.000 sale di proiezione, 75 milioni di biglietti al giorno. Tutto per un 1,3 miliardi di euro all'anno. Cifre che fanno paura persino ad Hollywood dove non si superano le 740 pellicole l'anno. Una sorpresa. Eppure questo cinema non riesce a ripercorrere l'antica via della seta per intero così da diffondersi in Europa e da qui in America. Ma probabilmente non sarà così ancora per molto.
Era il 1896 quando a Bombay (Mumbai) fa la sua comparsa il cinema. Erano passati solo pochi mesi dalla prima parigina dei fratelli Lumiere. Inizialmente destinato alla borghesia britannica, il cinema si espande poi sull'immenso territorio, veloce come un'epidemia.
Dopo la seconda guerra mondiale si passa dai temi dell'epica popolare all'impegno sociale. Gli anni '50 sono anche quelli delle commedie brillanti e nel '57 "Mother India", di Mehibads Khan, è candidato all'Oscar come migliore film straniero. Nello stesso anno "Aparajito" di Ray vince il Leone d'Oro a Venezia. Satyajit Ray fa parte di una corrente d'autore che risente della influenza europea e americana. Nel 1950, a Londra, Ray vede "Ladri di Biciclette". Rimane folgorato e da allora inizia a fare film.
Intanto negli anni '40 e '50 convivono due filoni: da una parte il cinema bengali, realistico e antispettacolare; dall'altra il cinema popolare hindi che mescola generi diversi, dando vita ai masala film (la masala è una spezia fatta da un mix di erbe). Due gli ingredienti fondamentali di questi "film minestrone": musical americani e letteratura indiana. Il pubblico impazzisce per questo nuovo genere.
Negli anni '70 il successo del cinema indiano è grande ma la crisi è in agguato. La gente comincia a stancarsi di quel cinema commerciale che si ripete di continuo. Gli indiani preferiscono la TV.
Ma nel '78, a 30 km a nord di Bombay, su una collina in periferia, nasce una Cinecittà orientale molto particolare: Bollywood. Gli Studios sono circondati da erba e fango e qua e là la vegetazione lascia spazio a laghetti. Già il luogo meraviglia e il prodotto non è da meno. Il film indiano ha una durata che va dalle tre alle quattro ore ed è preceduto da un documentario. Bollywood rilancia il masala movie: canto, ballo, buoni e cattivi, combattimenti, storie d'amore, lieto fine. Il risultato è il boom di Bollywood. Negli anni '90 i film indiani passano da Madras (Chennai) a New Dehli, dalle Filippine all'Etiopia, attraverso il Nepal , l'Iran, l'Afghanistan (il primo film proiettato dopo la caduta di Kabul era indiano). Neanche il Pakistan resiste, e un film made in Bollywood fa dimenticare odio religioso e contrasti politici.
Il cinema indiano è di nuovo in fermento sotto la spinta del grande successo. Il regista Mirinal Sen è acclamato a Venezia nel '69 con "Bhuvan Shome"; nel '75 trionfa "Shulay "di Ramesh Sippy e nell' '84 "La Casa e il Mondo" di Ray. Nel 2001 Venezia consegna il Leone d'Oro a Mira Nair per il suo "Monsoon Wedding". La regista si è avvicinata al cinema grazie ai film di Bollywood, ma considera suoi maestri Kosturica e Scorsese. Altro film indiano apprezzato a Venezia nel 2001 è "Asoka". Cannes 2002, viene presentato fuori concorso "Devdas". "Lagaan" vince il premio del pubblico al festival di Locarno, ottenendo una nomination all'Oscar come migliore film straniero.
Dietro la luce dello star system e dei block buster, però, ci sono contrasti stridenti: i legami con la politica e la mafia indiana, e le difficoltà di diffusione in occidente. Timoteo Salomone, giornalista Rai, racconta che, per mancanza di sale, cassette pirata sono proiettate persino su schermi montati all'interno di camion. A settembre, in una fila per l'ingresso a un cinema sono morte otto persone. Gli attori sono venerati, molti entrano in politica sfruttando la loro popolarità e il loro potere economico. Alcuni hanno fondato nuovi partiti.
Il giro d'affari è enorme, anche se le produzioni sono spesso in perdita. Il 90% dei soldi deriva da riciclo di denaro sporco e, come spiega Massimo Tonizzo (www.SuperEva.it ), alla malavita locale non interessa l'esito commerciale, ma la disponibilità di denaro pulito. Stato e polizia conniventi.
Solo da poco il nostro Paese ha iniziato ad interessarsi ai film indiani. Nell'agosto 2004 Lazio Film Commission e Umbria Film Commission hanno stretto con rappresentanti del cinema indiano accordi di coproduzione e codistribuzione. I set naturali italiani piacciono molto a registi e produttori indiani.
Il cinema indiano è una risorsa, da affidare però a mani pulite. È un vasto mercato dove intervenire e investire, anche per l'Europa. Quella cinematografica è un'industria complessa. Il suo sviluppo nei paesi emergenti crea lavoro e contribuisce alla ripresa economica. Nulla sembra più lontano di un film dai bisogni più urgenti come fame, sete, malattie; ma il cinema potrebbe procurare il denaro per cibo, acqua, medicine.
Non solo evasione, allora, Bollywood è molto di più. È una speranza e una promessa.

 

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Num 46 Aprile 2005 | politicadomani.it