Pubblicato su Politica Domani Num 45 - Marzo 2005

L'Italia che c'è e che non c'è
Sogni e "Par condicio"
Se i primi sono fuori della realtà, la seconda ha soffocato il dialogo e la partecipazione ingessando l'uno e l'altra

di Titania

Non mi piace la "par condicio". Almeno su questo sono d'accordo con Berlusconi. Non ho, e non mi interessa neanche lontanamente avere la sua forza, né economica, né mediatica, e, per di più, ho anche l'abitudine di schierarmi con i più deboli; che sono anche i più, ma che in una democrazia malata, quale è quella italiana, non contano. Partirei quindi da una posizione svantaggiata, anzi, decisamente perdente, ma la "par condicio" non mi piace.
Non mi piace neanche l'idea che i ricchissimi e potenti che hanno il controllo dei mezzi di comunicazione di massa abbiano la possibilità di acquistare tutti gli spazi disponibili. È proprio questa mercificazione di spazi che non mi piace. Né mi piace la frammentazione degli spazi in molecole a cui sono assegnati pesi diversi, in considerazione di mille circostanze: quanto durano, quando sono trasmessi, dove sono nel palinsesto. Gli spazi fisici e temporali, nei quali dovrebbe esprimersi il pensiero e dovrebbero confrontarsi le idee, nel dibattito politico e nelle campagne elettorali, sono vitali per la democrazia. Quelli che si fanno in tv, da una superficie poco più grande di un fazzoletto, simulano soltanto il dialogo che, nelle democrazie compiute, si fa nel paese. Il pubblico presente a queste rappresentazioni, che non di rado sfociano nella farsa, è scelto anch'esso con il principio della "par condicio", ed ha un ruolo poco diverso da quello di tifosi educati che applaudono alternativamente i loro beniamini. Mi piacevano molto di più le vecchie tribune elettorali spoglie e noiose di una volta, quando i candidati si confrontavano su idee, temi e programmi, fuori e lontano dalle chiacchiere da salotto delle attuali trasmissioni del cosiddetto "approfondimento politico". Forse perché per natura diffido delle belle forme e se debbo decidere voglio farlo solo sulla sostanza.
L'altra ragione per cui non mi piace la "par condicio" è che se non c'è nulla da dire è meglio non dire nulla. E se qualcosa o qualcuno non piace, ritengo che non parlarne sia il modo migliore per liberarsene (oltre che quello più educato).
E c'è una cosa che più di ogni altra non mi piace: non mi piacciono i sogni e, soprattutto, non mi piace la retorica dei sogni. Intendiamoci, ognuno ha diritto ai suoi sogni e alla possibilità di vederli realizzati. È la retorica che li avvolge, la violenza non solo verbale che li accompagna, l'incapacità di calare il sogno nella esperienza reale e di plasmarlo e modificarlo di conseguenza, la coreografia che ne accompagna le pubbliche manifestazioni che mi disgustano. Tutto ciò mi disgusta perché non fa parte del dibattito politico, perché uccide la partecipazione, perché non ammette il contraddittorio, perché demonizza l'altro, quello che si permette un'opinione diversa. Mi disgusta perché è pura propaganda, di quelle di cui abbiamo avuto esperienza nella storia recente.
Il sogno di Berlusconi però non ha la forza violenta dei dittatori del recente passato, e voglio pensare che sia un sogno in buona fede. Una buona fede dubbia però, a causa delle vicende giudiziarie dell'uomo e stando a quanto hanno detto personaggi di indiscussa onestà intellettuale come Indro Montanelli. Certamente in buona fede sono stati e sono tuttora coloro che hanno creduto e credono in quel sogno: il sogno di un'Italia migliore. Se il paese va male - e certamente non va bene - occorre riformarlo. E, allora, ecco qui tutti al lavoro in cantiere con il Presidente "operaio", per mettere mano alle grandi riforme: dell'università, della scuola, della giustizia, del lavoro, delle tasse, delle pensioni, dei codici militari, della Costituzione. E intanto nel Paese non si interviene in alcun modo in situazioni di disagio collettivo, anche drammatiche. In cambio di pochi euro in più al mese sullo stipendio di una famiglia non agiata, si lasciano aumentare i prezzi (salvo poi dare la colpa all'euro); si promulgano leggi che debbono essere riscritte perché anticostituzionali (come quella sulla Rai e quella sulla Giustizia); si lascia morire l'impresa. In nome di una flessibilità invocata per gli interessi dei più forti e per abbassare il tasso ufficiale di disoccupazione, si priva un'intera generazione della possibilità di costruirsi un futuro.
Il sogno di allora si è rivelato una sorta di incantesimo. Come quello che Bertin Buontempone ha fatto alle regina delle fate del "Sogno" di Shakespeare, la quale, accecata dal filtro magico del folletto Bertino, si è innamorata di un povero ciuco.

 

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Num 45 Marzo 2005 | politicadomani.it