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Una donna a protezione dell'Urbe
Santa Francesca Romana Nella ricorrenza della sua festività, aperto al pubblico il complesso conventuale di Tor de' Specchi fondato dalla Santa nel XV secolo di Pier Giorgio Foresi Una Roma dilaniata da lotte cruente fra le famiglie patrizie che si contendevano il predominio della città, con i lupi affamati che calavano dalle montagne sin dentro le mura urbane, la stessa istituzione ecclesiale tormentata e resa impotente dalle conseguenze dello Scisma d'Occidente e le campagne abbandonate e percorse da bande armate: in questo scenario inesorabilmente dominato da un cupo destino di violenza, di fame e di pestilenza, rifulse una figura di donna che ancora in vita entrò nella leggenda come simbolo di speranza. Nata nel 1384 nel Rione Parione, essa si chiamava Francesca ed era stata data in sposa giovanissima - a 12 anni - a tale Lorenzo De Ponziani nella cui abitazione di Trastevere si trasferì e ove ebbe diversi figli dei quali solo uno sopravvissuto. Animata da una inesausta carica spirituale di penitenza e di carità, seppe trascinare con il carisma della sua personalità e il suo esempio altre donne. Esse la seguirono nelle opere della fede e nelle attività di soccorso alla parte più derelitta della popolazione, colpita dalla fame, dalle violenze e dalle malattie. Era nota a tutti perché, come narrano i biografi, pur essendo nobile non disdegnava di tirare il carrettino per le vie della città per recare aiuto ai poveri e agli ammalati per i quali ella stessa preparava gli unguenti. Per tali sue qualità entrò presto nell'immaginario popolare rimanendovi viva nei secoli. I romani la chiamarono subito "Romana" e tale rimase per sempre, a significarne l'appartenenza alla sua città, di cui fu poi consacrata protettrice. Si vuole che la sua fede venisse continuamente insidiata dal demonio, che tentava di distoglierla dal suo fervore religioso e caritatevole, e che venisse visibilmente guidata nella sua vita dall'angelo custode (per questo è anche considerata protettrice degli automobilisti). Fondò la chiesa di S. Maria Nova, fra le rovine del Foro Romano, e ivi raccolse in comunità le donne che avevano iniziato a condividere i suoi ideali e le sue aspirazioni, che chiamò Oblate Benedettine, inserite, quindi, nel più vasto filone della spiritualità benedettina. La comunità si trasferì poi in una casa di Tor de' Specchi, nei pressi del Teatro di Marcello, ove Francesca stessa si stabilì dopo la morte del marito, trasformandola in convento. Tornò nella sua casa maritale di Trastevere solo per curare il figlio colto da peste, riuscendo miracolosamente a guarirlo e ivi morì il 9 marzo 1440. In tale ricorrenza - per l'intero complesso e nella domenica successiva, 13 marzo, per la sola parte quattrocentesca - è consentita la visita al monastero e la circostanza può consentire di partecipare al senso di calda e serena spiritualità che segna l'esistenza delle religiose e la presenza ancora viva della Santa loro, lontana nel tempo, consorella. Salendo la cosiddetta Scala Santa, all'inizio della quale si trova un affresco di Antoniazzo Romano rappresentante la Madonna col Bambino, la Santa e san Benedetto, si perviene ad un locale con affreschi monocromi con le tentazioni di Francesca e le sue lotte con il demonio, di ignoto autore quattrocentesco. Di qui si accede alla cella in cui visse la Santa, ora trasformata in cappella. Nell'oratorio è possibile ammirare una splendida serie di pitture murali eseguite in onore di Francesca con fresca e vivace espressione narrativa, attribuite ad Antoniazzo Romano (1435-1508), uno dei più importanti pittori attivi nel Lazio tra Umanesimo e Rinascimento, e al suo prolifico atelier. Gli affreschi raccontano episodi miracolosi aventi come protagonista la Santa e sono corredati da didascalie in dialetto romanesco dell'epoca.
Notizie utili
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Num 45 Marzo 2005 | politicadomani.it
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