Pubblicato su Politica Domani Num 45 - Marzo 2005

Età augustea
La poetica dell'olivo
Poesia e simbolismo della pianta nelle opere di Virgilio

di Alberto Foresi

Nel mondo romano l'interesse specifico per l'olivo e la sua coltura si concretizza soprattutto negli scritti degli studiosi di agronomia. Tuttavia anche nell'opera di Virgilio, il grande poeta dell'età augustea, sono presenti riferimenti alla pianta dell'olivo.
Nelle Bucoliche, Virgilio (70-19 a.C.) fa tre volte riferimento alla pianta:
"Aminta, a mio parere, a te cede parecchio, quanto il salice flessibile al pallido ulivo ..." (V, 16-20),
passo in cui il poeta afferma la superiorità dell'olivo sul salice. Nella stessa Bucolica il pastore Menalca pone sull'altare dedicato a Dafne e ad Apollo due crateri pieni d'olio:
"Ogni anno ti darò due tazze di latte nuovo spumeggiante e due crateri di olio genuino ..." (V, 67-68).
Nell'ottava Bucolica (VIII, 16) il pastore Damone, prima di iniziare una gara poetica con Alfesibeo, si appoggia ad un bastone ricurvo di legno d'olivo.
Nelle Bucoliche scarso rilievo è tuttavia dato all'olivo, fatto dovuto alla quasi inesistente presenza dell'albero nell'opera di Teocrito, cui Virgilio si ispirò.
Maggior spazio viene dedicato all'olivo nelle Georgiche. Nel secondo libro il poeta proclama che canterà "la prole dell'olivo lento a crescere" (II, 3).
Virgilio, che ragiona da poeta e non da agronomo, nel corso del canto, sostiene che, fra tutte le coltivazioni, quella dell'olivo, simbolo di pace, richiede minor dispendio di energia, argomento che fu messo in discussione da Plinio il Vecchio, che garbatamente polemizzò con l'autore, mettendo in rilievo l'importanza che avevano sulla pianta i lavori di potatura e sfrondatura. Scrive Virgilio:
"Al contrario (della vite) non c'è nessuna coltura per gli olivi. Essi non attendono la roncola ricurva e i rastrelli resistenti, quando hanno attecchito sui campi e sopportato le brezze. Da sola alle piante offre umore bastevole la terra se aperta con un dente adunco, e se arata con il vomere darà frutti pesanti. Perciò fai crescere il pingue olivo caro alla Pace." (II, 420-425).
L'olivo è contrapposto alla vite non solo per le sue peculiarità colturali, ma anche quale rappresentante di un mondo ad essa antitetico, essendo essi simboli rispettivamente di pace e di frenesia, consacrati a due divinità fra loro opposte quali Bacco, dio dell'ebbrezza e Minerva, dea della sapienza.
Nella sua opera, il poeta esprime la sua gioia per il contadino che utilizzava l'olio da lui prodotto tanto per le proprie necessità quanto per farne commercio, olio che era puro, non corrotto con essenze aromatiche e spezie, per renderne più gradevole il sapore, come quello diffuso nelle città:
"O fortunati anche troppo, se solo conoscessero i loro beni, gli agricoltori! Per loro, spontaneamente, lontano dalla discordia delle armi, la terra giustissima fa scaturire dal suolo facile sostentamento. Se ... l'uso dell'olio limpido non è guastato dalla cannella - ma invece una pace sicura e una vita che non sa di inganni ... tutto questo non manca." (II, 468-471).
È da sottolineare l'attualità delle tematiche di Virgilio a duemila anni dalla sua morte: sembra infatti di ascoltare le riflessioni che spesso fa chi vive in città allorché lascia la convulsa vita urbana per assaporare temporaneamente i più genuini piaceri campestri, magari nella finzione degli agriturismi, senza tuttavia provare le dure fatiche del vero coltivatore.

 

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