Pubblicato su Politica Domani Num 45 - Marzo 2005

Parasubordinati e discontinui
Lavoro super-flessibile in un mondo rigido
Destrutturazione del mercato del lavoro, welfare malato e sindacati affannati a rincorrere strategie per non sparire sono la strada in discesa per la cancellazione di fatto dei più elementari diritti riconosciuti dalla Costituzione

di Fabrizio Comerci

A fronte della realtà sempre più incisiva dei cosiddetti "lavoratori parasubordinati", intendendo con tale termine tutti quei prestatori di lavoro non inquadrabili in categorie classiche del lavoro subordinato o dell'attività libero-professionale, è sempre più sotto gli occhi di tutti l'inadeguatezza delle tutele sociali previste per essi. Inadeguatezza che arriva, in alcuni casi, a ledere diritti fondamentali, sia che essi siano istituzionalmente riconosciuti (ad es. i diritti previdenziali e assistenziali sanciti dalla Costituzione italiana) o meno (ad es. il diritto alla progettazione del proprio futuro).
La destrutturazione del mercato del lavoro, associata a un welfare malato e a una recessione economica prolungata dovuta a politiche intempestive, quando non inette, crea esasperazione e tensioni sociali che sfociano, quando possibile, in scioperi nazionali che rimarranno nella storia. In altri casi il malcontento cova pericolosamente in un silenzio che sibila come una miccia accesa. Già, perché i nuovi prestatori di lavoro, presi tra la necessità e il ricatto della perdita di lavoro, si vedono negato, in pratica, anche il diritto di sciopero (art. 39 della Costituzione italiana).
Il lavoratore precario si ritrova, dunque, solo dinnanzi all'incertezza che permea tutta la sua vita, a fronteggiare il caos delle oltre quaranta nuove tipologie contrattuali, con i loro cavilli, eccezioni e mancate attuazioni, e la cruda realtà del misero e saltuario stipendio e di un accesso negato a quasi ogni tipo di credito. Cosa, quest'ultima, che, non di rado, spinge a cadere nel vortice del credito illegale. Per non parlare di uno stato sociale che abbandona l' "atipico" proprio dove dovrebbe assisterlo (ad es. gli ammortizzatori sociali, la previdenza) e dei tagli operati agli enti locali che si trasformano automaticamente in riduzione dei servizi.
Mentre si esalta l'introduzione della flessibilità, ci si nasconde dietro "Euro" e "11 settembre" e si continua a glissare sull'adeguamento dei salari, sembra che non ci si renda conto di una banalità: le riforme del mercato del lavoro, quando necessarie, devono essere complete e lungimiranti, poiché ne va dell'economia nazionale nella sua interezza. È inutile che i politici continuino a rassicurarci con tassi di disoccupazione più bassi d'Europa o aumenti nelle richieste di mutuo, poiché il disagio attuale non è una brutta percezione da fugare con dati effimeri ma è la realtà quotidiana e tangibile nella quale versiamo tutti.
In ciò, i sindacati confederali si muovono lenti come pachidermi; forse più interessati a riconoscere lo stato di fatto e a legittimarlo con le concertazioni, o troppo occupati a trasformarsi, grazie ai fondi pensione, in società finanziarie. Con il perdere di vista i cambiamenti intervenuti nell'entità del soggetto da tutelare e rappresentare, e nella perdita di contatto con i valori di riferimento, la rappresentanza sindacale si muove nel segmento più ripido della propria "parabola discendente" (come segnalato da Aris Accornero già agli inizi degli anni '90).
Da un "sindacalismo di opposizione", si è arrivati non a un sindacalismo di tipo anglosassone, il tradeunionismo dei coniugi Webb, che più che interessarsi al mutamento sociale, si occupa delle piccole istanze, cercando di infierire il meno possibile sulla produzione. Si sta passando, piuttosto, a un sindacalismo "partitico", adagiato completamente sul sistema, quasi fosse un triclinio, piluccando senza remore dal grappolo del capitale. E laddove essi intervengono, pongono in atto lotte di resistenza che corroborano la rigidità in uscita. Cosa, questa, che, oltre a far andare avanti con sostegni pubblici carcasse d'impresa facendo il gioco di imprenditori sull'orlo del fallimento, pone un giogo ulteriore a un sistema imperniato su quella flessibilità, introdotta dal pacchetto Treu, e alla quale si opposero in pochi.
C'è da riconoscere, senza essere apocalittici, che ci sono anche delle realtà, tra i confederali, che si muovono in direzione di una riappropriazione dei contatti con la realtà. Una delle strutture più interessanti, riguardo ciò, è il NIdiL-Cgil (Nuove Identità di Lavoro): organismo di rappresentanza diretta dei lavoratori parasubordinati e interinali. "Il NIdiL ha posto l'accento sull'esigenza di una riforma dello stato sociale in grado di dare risposta a quei lavoratori che vivono nella discontinuità lavorativa, nella incertezza dei guadagni e, perciò, nell'impossibilità di poter programmare la propria vita." (Conferenza di programma NIdiL, 2004)
I sindacati di base, forse perché meno impegnati in "balli di corte", si muovono più agilmente e collaborano con le realtà più attive in questo campo: le auto-organizzazioni "dal basso". Realtà come quelle di Camere del Lavoro composte da consulenti volontari, network di rivendicazioni a dimensione europea... Basta navigare un po' nei siti del Movimento per farsene un'idea.
Tra le varie battaglie portate avanti c'è quella della redistribuzione delle entrate dello Stato attraverso un "reddito di cittadinanza": l'elargizione di un contributo di sussistenza a tutti i cittadini italiani. Ciò permetterebbe, oltre a garantire una vita dignitosa a tutti, anche di superare le traumatiche parentesi non lavorative che, ad oggi, il sistema impone soprattutto ai giovani. Quello stesso sistema che ha creato il paradosso del working poor (lavoratore povero).

 

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