Pubblicato su Politica Domani Num 45 - Marzo 2005

Editoriale
10 anni dopo Pechino

di Maria Mezzina

Pechino 10+, la 5a Conferenza mondiale dell'ONU sulle donne, sta passando sotto silenzio. Lo scopo della Conferenza (New York, 28 febbraio-11 marzo) è di verificare i risultati raggiunti a 10 anni dal vertice di Pechino che, con un solenne documento di 6 pagine di buoni propositi e 180 di programma di azione, chiudeva allora il decennio delle donne proclamato dall'ONU nel 1985.
Pechino doveva essere il punto di partenza per un rinnovato impegno a favore della condizione femminile presso tutti i governi del mondo lì rappresentati.
I giudizi sulla Conferenza furono contrastanti. "Pechino è uno spartiacque" diceva una Livia Turco entusiasta, capo delegazione del Governo italiano. "Pechino è caduta in un silenzio assordante" osservava Gertrude Mangella (Tanzania), Segretario Generale della Conferenza. Entusiasmo e disillusione ambedue necessari: il primo per proseguire il cammino delineato dalla Conferenza, l'altra per conoscere (e superare) gli ostacoli che a questo cammino si oppongono.
Nel '95, a sostegno delle donne di tutto il mondo, tre mesi prima della conferenza di Pechino, il Papa scrive una Lettera alle donne. "Grazie a te", egli scrive in uno dei passi più lirici della lettera, donna-madre, donna-sposa, donna-figlia, donna-sorella, donna-lavoratrice, donna-consacrata. "Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani", conclude questa parte della lettera.
La consapevolezza e il riconoscimento di questo ruolo della donna nel mondo sono condizione necessaria per proseguire sulla via della emancipazione. Non sufficiente, però. Perché proprio questa sua sensibilità, accompagnata dalla sua tenace volontà di modificare tutte quelle condizioni che producono povertà, violenza, disuguaglianza, di cui le donne sono le prime vittime, si scontra con una visione del mondo in cui non c'è posto per i poveri, le vittime, i diversi.
"Un pesante black-out ha oscurato il dopo Pechino, e il consumismo che domina ogni aspetto della vita già ci proietta alla prossima conferenza mondiale."1, é stato scritto a proposito di Pechino '95. È, questa, una presa di coscienza che si riflette però in un progetto preciso: "È dunque chiara la direzione che prenderà la lotta del movimento delle donne nel dopo Pechino: contro il conservatorismo politico, contro una regressione di colore religioso come gli integralismi e contro la dittatura di un ultraliberismo che disumanizza il pianeta." 2
Dal '95 ad oggi abbiamo visto gli effetti di questo ultraliberismo: l'aumentare del divario fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più numerosi e più poveri; l'esplosione della violenza, del terrorismo e dei fondamentalismi di ogni genere; la caduta delle sicurezze sociali, la paura per il futuro e il rifiuto dell'altro e del diverso; le guerre, con il loro carico di distruzione, morte, atrocità e sofferenze. È probabilmente a causa di questo ultraliberismo che anche la 5a Conferenza dell'ONU sulle donne a New York sta passando sotto silenzio, come era stato previsto.
Il programma di Pechino consegnava al "genio femminile", come dice il Papa nella sua lettera, il compito di promuovere nel mondo la difesa dei diritti della persona. E questa consegna rappresenta, per dirla ancora con le parole del Pontefice, "Una rinnovata presa di coscienza del molteplice contributo che la donna offre alla vita di intere società e nazioni, un contributo di natura innanzi tutto spirituale e culturale, ma anche socio-politica ed economica." Un contributo, quindi, capace di minare alle fondamenta e di scardinare le strutture di potere di molti che sul liberismo senza regole e senza umanità hanno fondato la loro fortuna.
Quando il "genio femminile" trova lo spazio per esprimersi produce novità e cambiamenti diffusi, che durano nel tempo, mettono radici profonde e generano frutti copiosi. È il caso delle suore della Divina Provvidenza di Madre Teresa di Calcutta, e di tutte le donne che nei paesi più poveri, con le loro piccole attività rese possibili da quel finanziamento speciale che è il microcredito, stanno sollevando i loro paesi dalla miseria. È il caso di tante donne diventate ormai simbolo di battaglie incruente e vittoriose a difesa della libertà e dei diritti umani: Wangari Maathai, ambientalista africana; Shirin Ebadi, avvocato iraniana; Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione birmana; Rigoberta Menchù, guatemalteca e paladina delle popolazioni indigene oppresse. Tutte premi Nobel per la pace. È il caso anche di donne semplici e comuni come le donne in nero che in tutto il mondo, manifestano contro la guerra, o come le donne indiane che combattono da anni a difesa dei loro villaggi.

1) G.P. Di Nicola, nella prefazione al libro di M.G. Noccelli e P. Vanzan, "Pechino '95", AVE, Roma 1996.
2) Ibid.

 

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