Pubblicato su Politica Domani Num 45 - Marzo 2005

Governo battuto, vince la democrazia
Codici militari di pace e di guerra
Per un solo voto è passato un emendamento che rimette in discussione tutto l'impianto di una legge molto pericolosa che si voleva far passare in sordina

di Maria Mezzina

Diciotto a diciassette. Non è il risultato di una partita di pallavolo, è l'esito della votazione in Commissione Difesa alla Camera con cui il 16 febbraio scorso è stato approvato un emendamento al testo sul disegno di legge delega al Governo della riforma dei codici penali militari di pace e di guerra. L'emendamento cancella dal testo dell'articolo 1 le seguenti parole: "e del codice penale militare di guerra". L'art.1 del ddl recitava infatti: "... il Governo della Repubblica è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni modificative e integrative del codice penale militare di pace e del codice militare penale di guerra ...". È l'intero impianto del ddl che viene radicalmente stravolto: è tolta al Governo la facoltà di mettere mano al codice militare di guerra; tutti gli articoli debbono essere profondamente rivisti; il contestatissimo articolo 4 (Principi e criteri relativi alle modificazioni del codice penale militare di guerra) viene completamente eliminato.
La notizia, sulla quale stampa, radio e tv di massa hanno steso un velo di colpevole silenzio, è di quelle fra le più importanti: il "piccolo" emendamento ha messo in salvo alcuni principi fondamentali per la democrazia e l'articolo 11 della Costituzione italiana che sancisce la vocazione alla pace del popolo italiano.
Il pericolo appare sventato (per ora), ma lo scarto è talmente esiguo, le pressioni sono talmente forti, la posta in gioco è talmente alta che l'informazione è doverosa.
Andiamo con ordine.
È il 18 novembre e il Senato approva il Disegno di legge n. 2493, "Delega al Governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, nonché per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare". Lo hanno presentato i Ministri della difesa Martino e della giustizia Castelli. Un lunghissimo documento (43 pagine) per illustrare e spiegare le ragioni di sei articoli che dovrebbero cambiare radicalmente i vecchi codici penali militari (promulgati con Regio decreto nel 1941), ormai desueti, anticostituzionali e perfino in contrasto con il diritto internazionale.
Fin qui tutto bene. Perché allora il ddl ha provocato un'aspra e corale levata di scudi da parte di giuristi, giornalisti, parlamentari e anche militari? Perché il disegno di legge preparato dalla maggioranza e approvato in Senato tocca tre nervi scoperti: l'articolo 11 della Costituzione, la libertà di espressione dei giornalisti e il diritto dei militari di poter esprimere la propria opinione da liberi cittadini.
"Due sono le linee guida che orientano l'intero progetto - spiega il magistrato Domenico Gallo -: la prima è mantenere in vita l'asfittica giurisdizione militare (che è stata abolita in tutti i paesi della NATO ad eccezione della Turchia); la seconda è l'esigenza di abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e rendendole pienamente utilizzabili ed automaticamente instaurabili. All'interno di queste due esigenze che si muovono entrambe nella prospettiva di decostituzionalizzare l'art. 11 della Costituzione, si colloca l'orientamento di confermare, se non addirittura di ripristinare le norme più dure in tema di disciplina militare." Si leggeva infatti all'art. 4 del ddl che spetta al Governo "confermare l'applicazione della sola legge penale militare di guerra, ancorché nello stato di pace, ai corpi di spedizioni all'estero per operazioni militari armate ...". La disposizione non è in realtà una novità da quando, a partire dal 1989, si è moltiplicato il fervore e l'attivismo relativo all'invio di corpi armati militari "di pace" all'estero: in Somalia, in Bosnia, nel Kosovo, in Afghanistan, in Iraq (solo per citare le più note). La novità introdotta riguarda piuttosto l'estensione della giurisdizione militare a tutti i territori in cui vi siano militari armati in servizio (che, a rigore, significa anche le metropolitane e i parchi cittadini) e l'applicazione della legge marziale a tutti coloro che si trovano nei territori sottoposti a controllo dalle forze armate, giornalisti compresi. È la fine della libertà di stampa, una libertà, peraltro, che i giornalisti inviati nelle zone di guerra stanno pagando a carissimo prezzo.
La lettura attenta del ddl non disturba soltanto quei civili che hanno grande rispetto della libertà di pensiero e di opinione, ma anche i militari. Essi sono preoccupati della militarizzazione di reati comuni e della limitazione dei loro diritti civili là dove si dichiara di "prevedere come reati militari: le violazioni del divieto di sciopero; l'abbandono collettivo di servizi o di uffici; l'interruzione collettiva del servizio; l'abbandono o l'interruzione individuale di un servizio a scopo di reclamo; l'attività diretta a promuovere, organizzare o dirigere forme di turbativa della continuità e della regolarità del servizio, anche se l'evento programmato non sia realizzato; la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni per rimostranze o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina". Previsioni, queste, che insieme ad altre considerazioni sulla giustizia militare hanno provocato la protesta ufficiale del CoCeR.

 

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