Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

Coltivazione dell'olivo e della vite a Roma
I trattati di agronomia romani
La scienza agraria romana si rivolge soprattutto alla coltivazione di uliveti e vigneti in grandi imprese produttive. Una sintesi delle elaborazioni più famose

di Alberto Foresi

Catone
Sebbene numericamente esigui, i testi della letteratura agronomica latina a noi pervenuti integri, comprendono opere di grandi dimensioni, che furono senza dubbio le più significative tra quante videro la luce in Roma. La più antica è il De agricultura di Marco Porzio Catone (234-149 a.C.). Il testo è costituito da una raccolta di consigli sulla conduzione dell'azienda, sulla coltivazione dei campi, sull'allevamento, sulle pratiche enologiche ed olearie, sull'arte culinaria, ripartiti in centoventi paragrafi privi, nella loro successione, di alcun disegno organico.
Più che un podere familiare, l'azienda descritta da Catone è un'autentica impresa agraria. Negli anni in cui la politica di conquista sta portando la sfera del dominio romano ad assumere dimensioni continentali, l'agricoltura latina mostra i primi segni di quella trasformazione in agricoltura mercantile che si compirà in età imperiale. Tale processo si realizza nello sviluppo parallelo di due fenomeni: l'ampliarsi delle dimensioni aziendali e lo specializzarsi di ogni azienda (in Italia e nelle regioni conquistate) in un settore specifico di produzione. Rivolgendo la sua attenzione a quelli che già appaiono come i due settori caratteristici dell'agricoltura italica, Catone si preoccupa soprattutto di dettare le norme per la conduzione di un'azienda olivicola e di una viticola. A partire infatti dalla metà del III secolo a.C., e soprattutto dopo la guerra annibalica, lo sviluppo storico portò ad un generale regresso della cerealicoltura italica e quindi alla rovina dei piccoli proprietari. Estese superfici di terreno, un tempo occupate da poderi contadini, furono convertite in pascoli ed adibite all'allevamento di grosse mandrie bovine ed ovine. Mentre nelle immediate vicinanze delle grandi città si poteva praticare su scala ridotta l'orticoltura, le coltivazioni della vite e dell'olivo - che richiedevano l'impiego di ingenti capitali - erano accessibili solo alle grandi aziende agrarie. Sfruttando senza risparmio gli schiavi, e approfittando di un terreno molto adatto alle colture arboree come quello italico, in queste aziende si potevano ottenere rendite elevate.

Varrone
Differente dal testo di Catone, dallo schema espositivo elementare, i cui precetti erano espressione di semplice empirismo campagnolo, si presenta il De re rustica di Varrone (116-27 a.C.). Opera dal disegno elegante e magistrale nella padronanza delle cognizioni naturalistiche, geografiche, storiche riferibili spesso ai grandi maestri del sapere ellenico. All'analisi della realtà agricola tipica del trattato di Catone, Varrone sostituisce il gioco sottile delle enunciazioni teoriche e delle deduzioni logiche. Un'attitudine nello sviluppo delle conoscenze agrarie che sarà ricalcata dalla scienza medievale, quando, perduto ogni legame con l'ispirazione naturalistica della cultura greca, gli uomini di scienza rimetteranno la veridicità dei propri enunciati al rigore formale dei propri sillogismi ed all'autorità di un dotto antico. E Varrone sarà tra le fonti di autorità riconosciute dalla scienza medievale.
Particolare attenzione l'autore riserva alla coltura della vite e dell'olivo, ricalcando un criterio che era già stato di Catone e che parzialmente ripeterà Columella. Vite ed olivo rappresentano infatti le colture cui l'agricoltore italico dedica il massimo della propria attenzione e da cui trae la parte più cospicua dei propri proventi. Esse costituiscono, quindi, per la trattatistica agronomica latina un terreno obbligato, con cui Varrone dovette necessariamente confrontarsi.
La diversa mentalità di Varrone rispetto a Catone emerge allorché stabilisce che gli agricoltori devono prefiggersi non solo il profitto ma anche il piacere dato dalla bellezza delle piantagioni. Conseguenza, questa, di una mutata sensibilità mirante alla ricerca, anche nei campi, di un gusto estetico. Varrone afferma, infatti, che un oliveto con gli alberi piantati in modo ordinato, non solo vede aumentare la sua capacità produttiva ma anche, rendendolo più bello, ne fa salire il valore e rende più facile una sua eventuale vendita: "Non c'è nessuno che fra due terreni di pari rendimento non preferisca comprare a un prezzo più elevato quello che è più bello, piuttosto che quello che è, sì, fruttifero, ma brutto." (De re rustica, I, 4, 2). La raccomandazione di realizzare una piantagione ordinata è ulteriormente ribadita allorché l'autore afferma che "gli alberi piantati in ordine sono portati a maturazione in egual misura in tutte le loro parti dal sole e dalla luna. Perciò avviene che più uva e più olive vengono prodotte e più rapidamente maturano. A questi due effetti ne seguono altri due: maggiore è il quantitativo di mosto e di olio che se ne ricava e di maggior prezzo." (De re rustica, I, 7, 4).

Columella
È nel I secolo d. C., con Lucio Moderato Columella, che la scienza agraria romana raggiunge il suo apice. Vissuto all'epoca dei Claudi, Columella, patrizio spagnolo, proprietario di terre in Spagna e in Italia, ci offre la testimonianza di un'epoca di singolare ricchezza per l'agricoltura. Agricoltore appassionato, scrittore colto ed efficace, con i dodici libri De re rustica ci ha lasciato, insieme, la descrizione esauriente delle pratiche agricole in uso nell'impero, o, almeno, nelle terre accumunate dallo stesso denominatore climatico mediterraneo, e una vera, completa teoria agronomica.
Vero agronomo per esperienza diretta, egli stesso grande imprenditore agricolo, in virtù della propria formazione scientifica e del proprio istinto di naturalista, Columella compose il primo vero trattato di scienza della coltivazione. L'opera costituisce un sistema organico destinato a rappresentare, per quasi due millenni, il punto di riferimento per chiunque si applicherà in modo razionale al complesso delle attività mediante le quali l'uomo trae dalla terra il proprio sostentamento.
Una teoria agronomica non è mai creazione avulsa dal contesto agricolo in cui nasce: il sistema agronomico di Columella costituisce la sintesi e l'elaborazione teorica dell'agricoltura sviluppatasi nel quadro del dominio romano nel bacino del Mediterraneo. Un'agricoltura che ha maturato una gamma singolarmente ampia di elementi di progresso tecnico ed economico e che ha differenziato una serie numerosa di colture specializzate. Fondamentalmente un'agricoltura in cui alle piccole aziende coltivate direttamente dai cittadini romani, costretti a vendere i propri appezzamenti a causa dei lunghi anni passati nell'esercito, impegnati nelle guerre di conquista, si sono sostituite le grandi imprese "capitalistiche", di proprietà dei patrizi o dei cavalieri, condotte con manodopera servile, fortemente specializzate in produzioni destinate al mercato. Le grandi città dell'Impero, Roma, Atene, Alessandria, costituiscono grandi mercati di consumo, ai quali le diverse regioni imperiali inviano i prodotti favoriti dallo specifico ambiente di ciascuna.
Dedicato alla coltivazione dell'olivo è il quinto libro dell'opera di Columella: il trattato di olivicoltura e di tecnica olearia dell'autore latino è ampio e dettagliato, un quadro di cognizioni botaniche e di precetti tecnologici destinato a restare fino all'alba della seconda rivoluzione agraria il parametro supremo di una coltivazione fondamentale di tutti i paesi dell'Europa meridionale.

 

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