Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

Arte sacra
La Pietà di Tivoli fra Roma e Bisanzio
Dopo un lungo restauro ritorna nel Duomo tiburtino uno dei capolavori della scultura medievale

di Pier Giorgio Foresi

Il 21 gennaio scorso la comunità civile e religiosa di Tivoli ha salutato il ritorno, nel Duomo di S. Lorenzo, del gruppo ligneo della Pietà con una conferenza di studio voluta dall'Amministrazione Comunale. Il capolavoro dell'arte medievale era stato trasferito nei laboratori della Soprintendenza ai beni artistici per essere sottoposto ad un lungo intervento di restauro.
Il vescovo di Tivoli, Mons. Benotto, ha illustrato il significato della Pietà dal punto di vista teologico, quale rappresentazione visiva del mistero fondante del Cristianesimo, cioè della morte e resurrezione di Cristo. L'opera sembra ispirarsi ai principi della spiritualità benedettina, anche facendo riferimento alla Regola. È plausibile l'ipotesi che la Pietà, nella sua ignota dislocazione ecclesiale originaria, fosse al centro della Chiesa, dove ora è l'altare. I personaggi erano posti in uno spazio più ampio di quello in cui ora si trovano e, con la loro posizione, venivano a formare a loro volta una croce all'intersezione della navata con il transetto.
Il prof. Testi, studioso delle vicende storico-artistiche della città, ha svolto una relazione che ha riguardato l'ambiente artistico in cui ha operato l'ignoto artefice riferendolo, in base al confronto con opere della stessa epoca, all'ambito di botteghe romane o forse addirittura locali. Lo studioso ha concordato con l'interpretazione data dal vescovo sulla nascita dell'opera nel contesto degli influssi benedettini, e più strettamente cistercensi.
L'impostazione scultorea richiamerebbe le più importanti testimonianze della statuaria romana nel solco dei fermenti provocati dai richiami alla classicità contenuti nella visione imperiale di Federico II. Tendenza, questa, che si riscontra anche all'interno della Chiesa conventuale.
L'opera riesce ad esprimere con straordinaria intensità il significato umano e divino della deposizione dalla Croce. I personaggi del dramma scandiscono lo spazio nell'essenzialità delle linee scultoree e la drammaticità dell'evento è resa con estrema sobrietà di gesti e di espressioni, in una dimensione atemporale. Tutto è immerso in un profondo silenzio che pare l'elemento significante del mistero rappresentato, coinvolgendovi non solo i testimoni diretti dell'evento, ma anche rendendone partecipi i testimoni di oggi. La scena rappresenta la discesa dalla Croce del corpo di Cristo: sul volto affilato e di grande bellezza scendono i capelli, resi con eccezionale finezza; le braccia sono aperte e protese verso Giuseppe di Arimatea e Nicodemo - ma in realtà verso l'umanità intera - che si preparano per accoglierlo fra le loro braccia. La Madonna è rappresentata con il capo coperto, le mani aperte rivolte al Cristo, nell'atteggiamento di orante, secondo la tradizione iconografica della pittura romana. Nello stesso atteggiamento è raffigurata, sempre nel Duomo di Tivoli, in uno degli sportelli del Trittico del Salvatore. Il discepolo prediletto, Giovanni, chiude il cerchio dei testimoni della passione. Completa il gruppo un angelo, probabilmente il solo superstite dei due che la tradizione vuole ai lati della Croce, piccolo e sparuto ma con grandi ali e con le braccia distese. Secondo l'iconografia tradizionale, dovrebbe reggere una lampada, ma il gesto, forse, sta ad indicare la discesa sulla terra dello Spirito Santo.
L'opera è stata oggetto di studio da parte di numerosi studiosi d'arte, fra i quali ci piace ricordare il Toesca (Storia dell'Arte Italiana, II volume, Il Trecento, ed. UTET) e l'Hermanin (L'arte a Roma nei sec. IV-XIII, ed. del Centro di Studi Romani). Quest'ultimo ha definito la Deposizione il vero capolavoro della scultura medievale romana e, riferendosi alla scena centrale, così si esprime: "pare quasi che il distacco del corpo dal legno si compia per forza divina e non umana e v'è in ciò come il ricordo dell'antica tradizione di raffigurare Gesù ancora vivo sulla Croce" e "su tutti irraggia da Lui come una viva luce di pietà e di conforto, che va oltre il dolore." Lo studioso ha osservato che gli avambracci delle varie figure, tranne quelli del Cristo, sono movibili, ipotizzando che esse, nelle festività solenni, fossero rivestite di vesti preziose come avveniva nelle sacre rappresentazioni che a Roma e nel Lazio si svolgevano durante la Settimana Santa. Lo stesso Hermanin asserisce che uno dei palchi murati per tali rappresentazioni esisteva, non moltissimi anni fa, nella piazza dell'antico foro presso il Duomo di Velletri, probabilmente lo stesso che è rimasto nella tradizione cittadina come il "Teatro della Passione".

 

Le Deposizioni di Tivoli e di Volterra

Il gruppo ligneo della Deposizione di Tivoli è probabilmente il più elevato esito di un tema iconografico ampiamente diffuso nella scultura tardomedievale. Fra le varie testimonianze di analogo soggetto merita di essere ricordata la Deposizione lignea custodita all'interno del Duomo di Volterra, posteriore di circa un secolo rispetto a quella tiburtina. Tale gruppo ligneo, composto dai medesimi personaggi, ricorda nella composizione quello tiburtino, differenziandosi nella diversa e più drammatica espressività dei volti e delle figure di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, che sembrano esprimere fatica e dolore, mentre quelli tiburtini sono caratterizzati da un atteggiamento di pacata pietà. Probabilmente opera dell'ignoto maestro della Pietà di Tivoli o di artisti a lui vicini sono anche le figure lignee della Vergine Maria e di S. Giovanni Evangelista, parti non di una Deposizione ma di una Crocifissione, ora custodite al Museo di Cluny di Parigi, e un gruppo simile che si trova nel Museo della città olandese di Haarlem.

 

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