Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

Olio e vino a Roma
Concorrenza e protezionismo

 

La coltivazione dell'olivo nell'Italia centrale sembra essere attestata in territorio etrusco a partire dal VII secolo a. C.. Risalgono infatti a tale epoca degli unguentari utilizzati probabilmente per contenere e trasportare l'olio. Tale sostanza era utilizzata soprattutto per usi cosmetici e per l'illuminazione con le lucerne, mentre era scarsamente usato per l'alimentazione, poiché questo popolo faceva uso soprattutto di grassi animali. Di gran pregio si considerava l'abbondante produzione di olio di Volsini, l'odierna Orvieto. Erano invece usate come cibo le olive: numerosi noccioli sono stati ritrovati in appositi contenitori in due tombe di Cerveteri, datate alla prima metà del VII secolo, e sono probabilmente ciò che resta dell'offerta di cibo fatta al defunto.
È, tuttavia, a Roma che la coltivazione dell'olivo, che i Romani appresero presumibilmente dagli Etruschi, cominciò a rivestire un ruolo di primaria importanza sia economica che culturale.
Dopo la conquista di tutta l'Italia, Roma si trovò a fronteggiare la concorrenza delle città puniche nella produzione e nel commercio di vino ed olio. Una concorrenza che ebbe un peso non trascurabile nella decisione di distruggere Cartagine.
Inizialmente, nelle province occidentali, fu proibito piantare vigneti e alberi d'olivo per proteggere la produzione italica di vino ed olio ed assicurare il monopolio di ampi mercati. Quando, sotto Augusto, fu abolita la proibizione, tali colture si svilupparono rapidamente soprattutto in Gallia, in Spagna e in Africa. Ben presto si arrivò alla saturazione nel mercato del vino perché quello prodotto in Gallia era di ottima qualità e conquistava i mercati. L'olio italico, invece, doveva fronteggiare la concorrenza dell'olio proveniente dall'Africa, che era più economico, e dalla Spagna, che era di qualità migliore. Per proteggere i produttori italiani di vino furono emessi editti imperiali con i quali si vietava la pratica della coltivazione dell'uva; gli editti ebbero tuttavia un'applicazione solo parziale.
La produzione di olio nelle province proseguì invece indisturbata. Si svilupparono così in molte zone grandi aziende olivicole, in particolare nel Nord Africa.

 

I precetti di Varrone
"Quanto all'oliveto, quelle olive che tu puoi raggiungere con le mani da terra o per mezzo di scale, è meglio coglierle che bacchiarle, perché quelle che si battono si seccano e non danno molto olio. Di quelle che sono spiccate con le mani, migliori sono quelle colte piuttosto con le dita nude che non chiuse nei ditali. Infatti a causa della loro durezza non solo rimangono ammaccate le bacche, ma anche si scortecciano i rami e vengono lasciati scoperti ed esposti alle gelate. Le olive che non potranno essere raggiunte con le mani debbono essere battute piuttosto con canne che con pertiche, perché una ferita troppo profonda può esigere l'intervento del medico. Chi batterà, non batta di fronte; spesso, infatti, le olive battute così trascinano appresso dei ramoscelli, dal che deriva la sterilità delle piante per l'anno successivo. E questo non è l'ultimo motivo per cui - come dicono - gli oliveti un anno sì e un anno no non producono frutti, o per lo meno non li producono di eguale grossezza." (De re rustica, I, 55, 1-4).

 

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