Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

I costi della flessibilità
Il nuovo lavoro: atipico e precario
Incertezza e pessimismo. Aumenta l'età dei lavoratori atipici

di Mauro Lodadio

Non hanno trovato la tredicesima lo scorso mese. Nessun aumento di stipendio, né premi per la produttività. Niente viaggi di fine anno, né regali ad amici e parenti. I soldi sono sempre gli stessi, né più, né meno. Per la categoria dei lavoratori atipici non è stato un bel fine anno. E l'inizio si prospetta ancora più deprimente. Tutta colpa della nuova legge sul lavoro: quella della flessibilità. Oppure - comincia a chiedersi qualcuno - del precariato. La parola, ora, passa alla statistica. E speriamo che sia obiettiva.
L'Eurispes, l'Istituto Italiano di Studi Politici Economici e Sociali, ha realizzato un'indagine su un campione rappresentativo di 446 lavoratori atipici di età compresa tra i 18 e i 39 anni. Irregolarità dei pagamenti ma soprattutto salari molto bassi; questi i dati più allarmanti. "A noi Co.Co.Pro la tredicesima non arriva e la retribuzione non supera i 1000 euro netti." È quanto ci dice Daniele, 24 anni, impiegato romano. Le sue parole vengono confermate dalle statistiche. Il 76,5% dei lavoratori atipici percepisce una retribuzione mensile che non supera i 1000 euro netti. "Il dato acquista particolare rilevanza - si legge nel comunicato stampa Eurispes - considerando che la maggior parte di essi lavora per un unico datore di lavoro, che rappresenta l'unica fonte di reddito." La riforma del lavoro si trova in una fase di maturità. L'impatto della Legge 30 si traduce nella caduta del nostro sistema economico e nel pessimismo dei nostri concittadini. "Negli ultimi anni - dichiara Gian Maria Fara, Presidente dell'Eurispes - la nostra classe dirigente politica e imprenditoriale ha puntato solo esclusivamente sulla flessibilità e sulla riduzione del costo del lavoro come fattori-chiave per garantire una maggiore competitività all'impresa italiana, disinvestendo nella ricerca e nell'innovazione tecnologica, ovvero in quelli che, nei sistemi economici più avanzati, dovrebbero rappresentare il vero motore dello sviluppo e della crescita."
È l'America la patria della flessibilità. Ma in questi ultimi anni anche l'Europa si è conformata. Parola di Berlusconi. Il milione dei posti di lavoro trovati dal nostro governo si traducono così: "La flessibilità purtroppo - prosegue Fara - in Italia è stata rappresentata soltanto come possibilità per l'imprenditore di modificare in qualsiasi momento le condizioni del rapporto di lavoro (e quindi anche le modalità di cessazione de suddetto rapporto) con il proprio dipendente e non come strumento in grado di rendere flessibile l'organizzazione stessa del lavoro." L'idea sarebbe anche buona. Immaginate gli operai di una fabbrica che per otto ore al giorno, ogni anno, aggiungono un bullone ad una macchina. Lo stress fa da padrone. Scade il contratto. Ci si rimette in gioco. Si trova un altro lavoro. Ma è in questo ultimo passaggio che emergono le contraddizioni di un mercato marcatamente italiano. Il lavoratore nella fase più critica, quella della ricerca di un nuovo posto di lavoro, non possiede garanzie. Non riceve un salario "di passaggio". "Si è trattato - conclude Fara - di un tipo di approccio fallimentare e i risultati, dopo l'edificazione di un modello normativo tutto sommato coerente nei suoi principi ispiratori e nei suoi istituti giuridici, sono sotto gli occhi di tutti, viste le performance negative del nostro sistema economico negli ultimi quattro anni."
Un po' di dati. Colpisce, in particolar modo, come abbiano sempre lavorato con contratti atipici non solo la maggior parte (il 57,3%) dei lavoratori più giovani (tra i 18 e i 25 anni), ma anche e soprattutto gli intervistati che hanno ormai raggiunto la piena maturità anagrafica: il 66,9% hanno un'età compresa tra i 26 e i 32 anni ed il 67,8% hanno tra i 33 e i 39 anni. Ancora più sconsolanti i dati relativi al titolo di studio. Lo status di lavoratore atipico è caratterizzato paradossalmente dal segmento più qualificato dell'offerta di lavoro: il 55,9% degli intervistati è infatti in possesso di master o specializzazione post-laurea e ben l'83,2% è laureato.
L'attuale Legge 30 prevede quaranta diversi tipi di contratto. Nel numero passato di Politica Domani l'avevamo riassunti brevemente. Si può scegliere dal contratto "a lavoro intermittente", a quello di "inserimento", passando per il "lavoro condiviso", per il "contratto a progetto" e quello a "chiamata". In relazione alla tipologia di contratto, il 27,9% degli intervistati lavora "a progetto"(quello che è andato a sostituire il Contratto Continuativo di Collaborazione, i cosiddetti Co.Co.Co.), il 22,9% ha un contratto occasionale ed il 20,9% è un collaboratore coordinato e continuativo. Risulta abbastanza importante, tra gli intervistati, anche la quota di quanti hanno un contratto di tipo subordinato a tempo parziale (13,2%), mentre l'8,5% lavora tramite agenzie interinali ed il 5,4% tramite contratto d'inserimento. Eppure la maggior parte degli intervistati ha già raggiunto una certa maturità professionale. Si tratta, infatti, di persone per la maggior parte dei casi pienamente inserite nel mercato del lavoro. Solo il 31,1% del campione lavora da un periodo relativamente breve. Il 38,6% vanta invece un'esperienza lavorativa pluriennale, un altro 30,3% lavora da un periodo di tempo ancora più lungo: 5-10 anni (22%) o anche più (8,3%).
Ultime due cose vanno evidenziate. Il 34,3% dei lavoratori intervistati lamenta l'irregolarità dei pagamenti, la mancanza di adeguate tutele sociali (malattia, maternità, sicurezza sul lavoro) e sindacali (inerenti, ad esempio, il diritto di sciopero). Infine l'accesso al credito negato. In relazione alla tipologia contrattuale, il fatto di essere un lavoratore atipico ha ostacolato molto o abbastanza la possibilità di comprare un appartamento ricorrendo a un mutuo. Ma ha influito anche sulla più modesta possibilità di prenderlo in affitto. Emergono con forza, quindi, le difficoltà di accedere al credito se si è in possesso di un contratto flessibile.
Ansia, stress e pessimismo per gli anni a venire. Nessuno degli intervistati ritiene di poter contare su una pensione in grado di garantire una vecchiaia economicamente "agiata". "Il modo in cui i lavoratori atipici intervistati s'immaginano nei prossimi anni dal punto di vista economico - conclude il sondaggio - riflette in modo significativo la percezione che hanno di sé nel presente. È pessimista sul futuro soprattutto chi avverte maggiormente, in base a quanto rilevato dall'indagine, il senso di vulnerabilità economico-lavorativa, personale ed esistenziale derivante dal proprio status di atipico; quella parte di lavoratori atipici per la quale il tempo scorre di più e più velocemente e che pertanto subisce maggiormente l'impatto della flessibilità sulla propria crescita professionale, sul proprio benessere psico-fisico, sulla propria capacità progettuale e sulla possibilità di compiere scelte di vita importanti."

 

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