Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

Editoriale
AAA Nuovo Rais cercasi

di Alberto Foresi

Il 30 gennaio abbiamo assistito ad uno storico evento: il ritorno dell'Iraq all'interno della congrega delle nazioni civili e democratiche. È il trionfo della politica neocon americana, mirante all'esportazione della democrazia nel mondo intero, alla giustizia ed alla libertà dei popoli, nell'eterna lotta del Bene contro il Male. Poco importa delle migliaia di vittime civili di un'arbitraria e prevaricatrice aggressione coloniale, a cui si è associata anche la nostra nazione per volontà del suo premier, emulo di un altro cavaliere suo predecessore, ma fornito di ben altri attributi, sempre pronto ad entrare in guerra al seguito di più forti alleati. Poco importa che una nazione all'avanguardia, insieme all'Egitto, nel mondo arabo sia ormai ridotta ad un cumulo di macerie, senza energia elettrica, acqua potabile, ospedali e persino senza benzina. O delle torture cui sono stati sottoposti i prigionieri, delle devastazioni di un patrimonio storico e archeologico unico al mondo e, infine, della quasi scomunica lanciata dal Papa contro uno che, piegando ai propri interessi (e a quelli dei suoi ricchi sostenitori), principi, anche religiosi, più grandi e più sacri sostiene una politica indegna della nazione più potente del pianeta. Missione compiuta. Deposto il tiranno, tenute libere elezioni, è ora giunto il momento di ritirarsi dall'Iraq per dedicarsi a nuove semine di democrazia contro governi malvagi, oppressori e fautori di terrorismo, i cui popoli non attendono altro che una massiccia dose esplosiva di democrazia. Queste elezioni, scontate nel loro esito, dubbie nella loro legalità, sono ora la foglia di fico che nasconde il fallimento, il pretesto per poter affermare il successo dell'operazione e consentire così agli Americani e ai loro alleati di sganciarsi da una situazione apparsa ben presto ingestibile, prima di assistere, come a Saigon, alla precipitosa fuga in elicottero dall'ambasciata statunitense. Ricordate cosa diceva il segretario alla difesa Rumsfield per sollecitare il conflitto: bisogna agire in fretta per concludere le operazioni prima del caldo dell'estate irakena. Di estati ne sono passate più d'una e di conclusione nemmeno l'ombra. Vinta facilmente la guerra, sono stati duramente sconfitti dalla pace. Ricordate gli esuli irakeni negli USA: tutto l'Iraq era pronto ad insorgere contro Saddam Hussein e ad accogliere trionfalmente i liberatori, i quali avrebbero corrisposto all'amore della folla con il consueto lancio di cioccolato e sigarette. Forse anche in Iraq il fumo non è più così popolare. Probabilmente gli irakeni sono troppo cafoni per rendersi conto dell'occasione perduta. E adesso? Riusciranno la neo-eletta assemblea costituente e, se mai ci sarà, il primo presidente irakeno democraticamente eletto a riportare ordine, pace e libertà in una nazione ormai in mano a bande armate contrapposte e incontrollabili, divisa al suo interno fra Sciiti e Sunniti, di fatto priva di esercito e polizia e comunque oggetto delle attenzioni occidentali in virtù del petrolio di cui è ricco il suo sottosuolo? È possibile in queste condizioni portare alla moderna democrazia, frutto del millenario processo di crescita civile, sociale e culturale di una nazione, un popolo che sino ad ora non l'ha minimamente conosciuta se non associandola, forse, ai bombardieri americani?
Di fronte a tali quesiti, al di là di sempreverdi utopie di destra e di sinistra, un'unica soluzione appare praticabile. Trovare in fretta un nuovo leader in grado di mettere ordine, magari proveniente dagli ambiti militari e non troppo compromesso con il passato regime, dotato di un certo carisma e capace di unire sotto ideali nazionalistici buona parte del suo popolo; mettergli in mano un esercito e una polizia efficienti e consentirgli di riportare militarmente la nazione all'ordine, senza troppo preoccuparsi di legalità, diritti umani e altre baggianate alle quali la vecchia Europa è troppo sensibile e che nemmeno gli Americani possono, almeno palesemente, violare. È possibile che tale leader, che dovrebbe comunque essere un fantoccio manovrato dalle potenze straniere, ad un certo punto decida, come fece Saddam Hussein, di volere veramente guidare il suo popolo, rifiutando ingerenze esterne e costruendo armi di distruzione di massa, pretesto sempre buono per nuovi conflitti. E allora, dopo aver portato pace e democrazia in Siria, in Iran e magari anche in Corea del Nord, si riparlerà della minaccia irakena e della necessità di destituire il pericoloso tiranno. Nel frattempo in Siria, Iran etc. nuovi tiranni saranno posti al potere, per riportare le nazioni all'ordine dopo le devastazioni belliche. E così si ricomincia…
…È questo l'unico futuro possibile per il Medioriente?

 

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Num 44 Febbraio 2005 | politicadomani.it