Pubblicato su Politica Domani Num 44 - Febbraio 2005

America Latina
Con i campesinos verso la democrazia

di F. A.

Riforma agraria e America Latina è un binomio che riassume gran parte della storia di questo continente. Il problema ha origine subito dopo le guerre d'indipendenza, quando l'élite creola borghese in ascesa si appropriò della maggior parte delle terre agricole, spesso sottraendole agli indios, con il pretesto che questi non erano in grado di sfruttarle, formando le "haciendas".
La concentrazione di terreni era considerata necessaria allo sviluppo dell'economia agricola nazionale e per competere a livello internazionale. In questo contesto il "mini-fundio" dei campesinos era considerato antimoderno e illiberale, viste anche le loro arretrate tecniche di coltivazione. In realtà, però, fu proprio la presenza dei latifondi a creare emarginazione sociale e povertà in tutto il continente.
Le prime grandi lotte per la distribuzione delle terre risalgono alla fine del XIX. È nel 1917, però, con la rivoluzione messicana, che si hanno i primi risultati. Con la nuova Costituzione vengono gettate le basi della riforma agraria - realizzata però solo a partire dagli anni '20 -, che oggi risulta essere la più avanzata. Nei decenni successivi la riforma agraria è diventata solo una promessa buona per le campagne elettorali: per catturare voti tra i ceti più bassi. Fino ad arrivare nel trentennio '50/70 quando, un po' in tutti gli Stati, ci sono stati dei seri tentativi di ridistribuzione delle terre. È accaduto in Guatemala, sotto la presidenza di Arbenz Guzmán (1951-54), e in Bolivia. La riforma agraria più radicale fu certamente quella di Cuba con Fidel Castro, negli anni '60. Allora furono statalizzate persino diverse aziende statunitensi. In Cile, tra il 1971-73, il Presidente Salvador Allende varò un'importante riforma che, proprio perché cozzava contro gli interessi economici delle grandi borghesie nazionali e internazionali, fu totalmente cancellata in seguito al golpe organizzato dalla CIA, che portò al potere il generale Pinochet.
In Cile, così come altrove, i regimi militari si sono sempre opposti alla parcellizzazione delle terre. Ecco perché in America Latina il deficit democratico, ancor oggi che ci sono regimi che si dicono democratici, è così forte e il problema della riforma agraria è di grande attualità. Soprattutto in Brasile dove la riforma agraria - come ricordava sullo scorso numero di Politica Domani padre Alessio Moiola in una bellissima intervista - è ancora ben lontana dall'essere completata.

 

Approfondimenti
Riforma agraria

La riforma agraria si può definire come una redistribuzione della proprietà terriera col fine di ottenere un più giusto ed equo accesso alla terra e all'acqua. Secondo Brown e Thiesenhusen (1983) la riforma agraria non comporta necessariamente solo la redistribuzione della terra dal proprietario terriero al coltivatore, ma anche la trasformazione delle disposizioni concernenti un'ingiusta occupazione del terreno agrario. Dalle definizioni date dagli studiosi, al di là delle diverse interpretazioni, risultano evidenti le forti implicazioni politiche di tale problema.
In America Latina, in particolare, la proprietà terriera era concentrata nelle mani di un piccolo gruppo di latifondisti e di un'alta percentuale di minifondisti (piccoli proprietari terrieri) mentre i lavoratori senza terra coltivavano il terreno. In gran parte dei paesi, la distribuzione della terra agli agricoltori senza terra rappresenta un aspetto molto importante della vita politica, che vede il generarsi di conflitti e violenze di ogni tipo dovuti, appunto, alla questione della riforma agraria.
In molti paesi, soprattutto asiatici, la riforma agraria è giudicata, invece, meno problematica. Siccome la proprietà data in affitto è vista come il mezzo esclusivo di accesso dei poveri alla terra, certuni pensano che alcune forme di locazione siano l'unica risposta possibile alla mancanza di accesso alla terra e alla pressione demografica esercitata su quest'ultima. Costoro sostengono che la riforma sulle proprietà in affitto rappresenti di per sé un guadagno sostanziale per gli agricoltori affittuari, che altrimenti sarebbero per sempre soggetti alla suddivisione dei prodotti del raccolto fino ad un 60-70%. La riforma agraria, in questo caso, implica che vengano garantiti termini molto più favorevoli agli affittuari attraverso un sistema di affitti bloccati e di regolamentazioni sulla locazione, quali disposizioni più ridotte riguardo alla divisione dei raccolti, piuttosto che all'attuale distribuzione.
Indipendentemente dalla definizione, la riforma agraria richiede un passaggio del potere politico economico dalla sfera che lo detiene tradizionalmente, rappresentata ad esempio da proprietari terrieri, imprese agro-industriali - nazionali e internazionali -, usurai e commercianti, alla sfera dei piccoli coltivatori, degli affittuari e dei braccianti agricoli senza terra.

[fonte: www.unimondo.it]

 

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