Pubblicato su Politica Domani Num 43 - Gennaio 2005

L'intervista
Venti anni nella CPT, fra i contadini del Brasile
Padre Alessio Moiola è da poco tornato dal Brasile. La sua esperienza nella Commissione Pastorale della Terra, a contatto con i contadini del Maranhão

di Maria Mezzina

È nata per caso, grazie alla sua passione per la fotografia, questa intervista a padre Alessio Moiola, impegnato nella regione amazzonica del Maranhão, per venti anni nella Pastorale della Terra. Una lunga intervista a 360 gradi, di cui quella che segue è solo la prima parte.

Padre Alessio, cosa è la Pastorale della Terra?
La Commissione Pastorale della Terra è nata nel 1975, ad opera di alcuni sacerdoti e Vescovi della regione amazzonica preoccupati dei conflitti fondiari che si stavano verificando e che nascevano dalla politica promossa dai governi militari dell'epoca.
La CPT non è un'organo pastorale, è una Commissione, di cui fanno parte laici e sacerdoti, che si ispira ai principi del Vaticano II e alla teologia della Liberazione.

Quali sono le origini e i motivi di questi conflitti fondiari?
"L'Amazzonia è un'immensa distesa di terra per una massa immensa di contadini che non hanno niente". Così usava dire il generale-presidente Medici, già nei primi anni '70. Il Governo cominciò allora a promuovere una serie di misure per quella che è stata chiamata la "colonizzazione dell'Amazzonia". Le misure prevedevano anche agevolazioni economiche e fiscali e la concessione di prestiti a particolari condizioni di favore. Lo scopo era di avviare la riforma agraria..
In realtà è successo tutt'altro: c'è stata l'occupazione graduale non solo dello Stato dell'Amazzonia, ma anche di tutto il grande bacino della foresta amazzonica. Grandi gruppi imprenditoriali del sud del Brasile e avventurieri hanno occupato le terre, soprattutto quelle lungo le grandi arterie stradali appena aperte e che si stavano aprendo. Le terre non erano libere, erano terre demaniali su cui si erano insediati i "posseiros": migliaia di contadini che quelle terre avevano disboscate per renderle coltivabili, le avevano rese fertili e ci vivevano da anni. Avevano maturato così il diritto di "posse" (possesso) senza esserne diventati proprietari effettivi, in mancanza del titolo definitivo di proprietà. Non solo "fazendeiros" e avventurieri acquistavano terre che appartenevano per usucapione ai contadini, ma quelle terre venivano anche "grillate". Venivano cioè acquistati, per esempio, 500 ettari di terra e poi, in fase di notifica notarile, venivano accatastati altri 5.000 o 50.000 ettari e anche di più, inglobando perfino interi villaggi. Tanto per avere un'idea della enormità del fenomeno, nello Stato del Maranhão la somma delle proprietà accatastate è molto superiore all'estensione dello stesso Stato. Si è poi creata una stratificazione di proprietà dovuta a varie forme di "grillatura" (che vuol dire propriamente "frode").
Le terre amazzoniche non sono particolarmente adatte né per l'agricoltura, né per l'allevamento del bestiame o il pascolo. Erano però diventate appetibili per via delle agevolazioni fiscali e dei prestiti riservati a coloro che compravano o dimostravano di voler investire su quelle terre. Gente che si è molto arricchita senza mai far niente, sostanzialmente: coltivavano infatti a riso 500 o 1000 ettari, ma, per la maggior parte, usavano le terre per il pascolo di qualche migliaio di capi di bestiame.

A che scopo, allora, acquistare così tanta terra?
Per pura speculazione. Fatta anche allo scopo di destrutturare un equilibrio consolidato.
In Brasile c'erano già i grandi latifondisti; si trattava però della figura tipica del padrone delle terre, il "colonnello", molte volte violento, molte volte schiavista, ma che si sentiva padrone anche della gente: nel senso che si sentiva responsabile di loro in caso di malattie e in caso di tante necessità; dava da vivere ai contadini e permetteva loro di vivere nelle loro terre.
I nuovi proprietari, invece, avendo solo qualche migliaio di capi di bestiame hanno bisogno solo di tre o quattro "vaqueros". Di fronte alla reazione dei contadini, i nuovi sono ricorsi a milizie private, i "pistoleros". E, quando si sono sentiti minacciati, sono ricorsi allo Stato e alla polizia di Stato.
Tutto ciò è accaduto - non solo nel Maranhão - con il beneplacito dello Stato e dei vari Governatori che si sono succeduti; anzi, i Governatori sono intervenuti usando la polizia di Stato come arma di repressione contro i contadini, che sono stati cacciati dalle loro stesse terre dalla polizia di Stato, senza alcun ordine giudiziario che li obbligasse a lasciare le terre.

C'è qualche episodio che ci puoi raccontare di questa violenza contro i contadini?
Era il 23 dicembre del '91 quando arriva nell'ufficio della CPT il vescovo di Bacabau, un tedesco, e mi dice "Non ne possiamo più" - Bacabau era la regione più fertile dello Stato, la regione centrale dei conflitti - "dobbiamo andare a parlare con il governatore, non ce la facciamo più". C'era un villaggio che ormai da otto mesi era circondato. Non si poteva né entrare né uscire. La gente era alla disperazione. Noi eravamo riusciti a portare un po' di viveri, facendo ogni volta dei giri molto lunghi, ma anche così c'era rischio. Vari contadini erano stati feriti, una bambina di 12 anni era stata ridotta in fin di vita. E noi siamo andati dal Governatore. Lì era meglio andarci accompagnati dall'arcivescovo. Chiediamo a don Paolo di accompagnarci e siamo andati. Ricordo che in quella occasione io stetti praticamente zitto. Il Governatore non mi sopportava perché lo avevo accusato pubblicamente in un'assemblea e un'altra volta anche davanti ai vescovi. Ricordo che fu un dialogo abbastanza duro. Don Paolo non si misurò molto, e neanche don Enriquez, un tedescone. Il Governatore promise che avrebbe preso misure immediate per risolvere il problema. Disse: "Risolverò la situazione". Il giorno dopo effettivamente lui aveva risolto il problema. Aveva inviato a supporto dei "pistoleros" un contingente di 60 poliziotti che invasero il paese e radunarono tutta la gente in uno spiazzale, per un'intera giornata sotto il sole. E intanto le ruspe distruggevano tutto il paese e distruggevano tutti i campi.
Così è stato come quest'uomo ha risolto il problema, il Governatore dello Stato.

Cosa ci puoi dire del lavoro schiavo? Esiste ancora in Brasile?
Certamente. Ci sono denunce della CPT ogni anno e anche piuttosto gravi. È una piaga molto forte. Però su questo bisogna dire che i Governi brasiliani si stanno muovendo in maniera seria. Il problema è che non si può controllare un territorio così vasto, di dimensioni continentali, di cui un terzo è ancora sconosciuto. Noi sappiamo di contadini che sono stati caricati per andare a lavorare su certe terre ... Ma chi fa i controlli? Sicuro che esiste il lavoro schiavo. Il problema è che qualche volta è difficile da spiegare alla gente che cosa si intende per lavoro schiavo.
Succede questo: delle figure, delle persone chiamate "gato" (letteralmente "gatto"), passano nei villaggi, nel nord est - nella regione della Cearà, del Maranhão -, dove ci sono masse di contadini che non hanno campi, non hanno lavoro, non hanno niente e accettano qualsiasi tipo di contratto. Il "gato" va da queste persone e propone loro un contratto, per esempio 20 reali per un ettaro di pulizia della terra. I contadini si fanno i loro calcoli, pensano che ne valga la pena e accettano. Allora il "gato" che li ha contattati immediatamente lascia un po' di soldi alla famiglia perché possa andare avanti, e si costruisce così anche un'immagine di benefattore. Carica poi questi "peones", i lavoratori, su un camion e via. Quando i contadini arrivano sul posto scoprono immediatamente che i soldi che sono stati lasciati alla famiglia sono stati loro addebitati. Il viaggio è stato addebitato; il viaggio su un carro bestiame costa magari più del pullman. Devono comperarsi gli attrezzi per lavorare; non gli danno gli attrezzi, devono comprarli. Molte volte il mangiare è così scarso che debbono comperarlo. Se non si sono portati l'amaca devono comprarla. Poi, quando vanno a lavorare, scoprono che quel campo da pulire in realtà non è da pulire dagli arbusti e dall'erba di sottobosco che nasce dopo che è stata distrutta la foresta, magari scoprono che è foresta. Tutto questo fa sì che il contadino lavora, lavora, lavora e non riesce mai a saldare il suo debito. E si accorge anche che se tenta di scappare non gli è permesso: ci sono guardie armate tutt'intorno al campo. E ci sono anche minacce. Alcuni di loro sono stati eliminati. La situazione è seria.
Accade poi una cosa ancora più grave: i dirigenti della fazenda vendono ad altri il credito che hanno contratto con il contadino. Se il contadino non ha finito di pagare tutto il suo debito, il dirigente che ha finito il suo lavoro vende il debito ad un altro dirigente di un'altra fazenda, in modo che il contadino debitore è costretto a lavorare per quell'altra fazenda. E questo succede tantissimo, specialmente con i ragazzi, i giovani.

Come reagiscono i contadini che si trovano in questa situazione?
È un'esperienza terribile. Anche per noi della CPT che cerchiamo di raccogliere le prove per fare le denunce. L'esperienza più brutta che ho avuto è stata proprio quella di far parlare un gruppo di giovani contadini che erano scappati da una situazione di schiavitù. Li spaventa la violenza, il pericolo della morte, dell'essere eliminati. Magari riescono anche a scappare, ma io non ho mai visto tanta umiliazione. L'essere stati ridotti in quella situazione di schiavitù aveva umiliato tanto quei contadini che sono dovuto tornare tre volte e fare ogni volta quasi 400 chilometri per riuscire a far loro aprire bocca. Solo alla terza volta uno ha cominciato ad aprirsi un po' e allora hanno cominciato a parlare. Da lì è partita una delle denunce della CPT in seguito alla quale siamo anche riusciti a far sì che la polizia andasse sul posto, con i contadini che erano ancora sul posto, sorvegliati dai "pistoleros" ancora sul posto.
Ma è una piaga che continua.

A che punto è la riforma agraria in Brasile?
Non c'è. C'è solo qualcosina. La riforma è prevista dalla costituzione ed esiste come legge fin dal periodo dei Governi militari. In realtà, nell'attuale condizione, è impossibile. La riforma agraria sarebbe un segno della vera democratizzazione del Paese. Il Brasile è un Paese che secondo me oggi vive una democrazia formale - forse migliore di quella italiana, mettiamolo in chiaro -, però è un po' dubbio che viva una democrazia reale. Una democrazia reale è la democrazia del sapere, la democrazia dell'avere.
Secondo me perché ci sia una vera e profonda democrazia nel Paese è necessaria una redistribuzione delle terre, che sono la base e il sostegno del potere tradizionale, del potere economico. Nelle attuali condizioni però questo è impossibile. E non credo che Lula possa fare qualcosa a riguardo. L'unica cosa che avrebbe potuto fare era di lasciare che il Movimento dei "Sem Terra" camminasse per conto suo, senza reprimerlo. Magari impedendogli eccessi di violenza, ma senza reprimerlo e permettendogli le conquiste. Lula sarebbe riuscito ad ottenere tutto ciò.

 

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