Pubblicato su Politica Domani Num 43 - Gennaio 2005

La povertà in Italia
Italiani poveri e a rischio povertà
Un'Italia divisa, e quasi metà del paese è a rischio povertà. Dietro le cifre una situazione di paura e di incertezza

di Maria Mezzina

Quand'è che in Italia si può parlare di povertà? Chi sono i poveri in Italia? È vero che la povertà è in aumento? Quanto è difficile uscire dalla condizione di povertà? Sono queste le domande a cui occorre dare una risposta per rendersi conto della effettiva situazione italiana.
Cominciamo con che cosa si intende per povertà.
Esistono indicatori standard di povertà basati sul reddito (UE) e basati sui consumi (Italia). Ed esistono scale di equivalenza - soglie di povertà - che tengono conto di fattori diversi. Chi è al di sotto di queste soglie è relativamente povero. La soglia di povertà relativa per due persone è 869,50 euro al mese. Esiste anche una soglia di povertà assoluta: è assolutamente povero chi, in una famiglia di due persone, non può spendere neanche 573,63 euro al mese.
Anche se le fonti ufficiali parlano di una diminuzione della povertà: dal 13,6% nel 2001 al 12,4% nel 2002 (dati Istat1), aumenta fra gli italiani la paura di cadere in povertà.
"In Italia lo spettro della povertà si allarga sino ad occupare territori che solo fino a qualche anno fa erano sconosciuti: i ceti medi sono costretti, per la prima volta dopo decenni, a difendersi dal pericolo di una incalzante proletarizzazione. La sensazione di essere più poveri trova conferma nei dati sull'inflazione ormai unanimemente riconosciuti". È quanto si legge nel Rapporto Eurispes 2004 sull'Italia.

Chi sono i poveri in Italia?
Sono poveri i senza fissa dimora, gli immigrati e tutti quelli che non hanno un lavoro.
Una volta erano poveri coloro che non avendo un lavoro o lavorando saltuariamente, non avevano reddito. Ora le cose sono cambiate: anche chi percepisce un reddito può cadere in povertà. Basta poco per essere povero: basta avere uno di quei 40 lavori precari e a tempo parziale previsti dall'ultima legge sul mercato del lavoro2, e avere dei bambini piccoli o un famigliare bisognoso di cure, oppure basta soltanto ammalarsi. Nella fascia della povertà stanno cadendo anche quei lavoratori che percepiscono regolarmente un salario (circa tre milioni), che è però talmente basso - 600-800 euro al mese - che non riescono a far fronte alle necessità della famiglia. E sono a rischio anche i lavoratori che hanno uno stipendio di 1.000 euro al mese (altri tre milioni), ma che non arrivano alla fine del mese per via dei tagli ai servizi essenziali e degli aumenti generalizzati di costi e tariffe.
Non esiste però solo la povertà che si misura sul reddito o sulla capacità di consumo: sono poveri anche tutti quelli che la Caritas, nel suo ultimo rapporto sulla povertà (2004) ha chiamato significativamente "Vuoti a perdere"3. Si tratta di persone "che hanno un comune denominatore, pur nella diversità delle difficoltà e dei bisogni considerati: la fragilità e la non capacità personale di scelte autonome e responsabili", individui coinvolti in "situazioni di disagio che colpiscono la maggioranza e non la minoranza della popolazione: fenomeni comuni, non sempre avvertiti fino in fondo come espressioni di disagio sociale, e proprio per questo più pericolosi. Per esempio, le dipendenze da Internet, da gioco d'azzardo, da acquisti compulsivi, da lavoro, chiamate 'dipendenze senza sostanze'. La depressione connota sempre più gli stati d'animo delle nuove generazioni. Il lavoro precario e flessibile comporta un rischio diffuso di vulnerabilità sociale. Sempre più anziani soffrono di demenze e in particolare di Alzheimer, soprattutto donne. Si tratta di persone". Sono i nuovi poveri.
Fra le povertà "tradizionali", sono poveri soprattutto i bambini, gli anziani e i disoccupati.
Sono poveri quelli in cerca di lavoro (28%). Chi vive in affitto è più povero di chi possiede la propria casa. Sono poveri gli anziani oltre i 65 anni (14,1%), le famiglie numerose con almeno tre figli minori (20,9%), le famiglie in cui ci sono due o più anziani (16,7%). Sono poveri quelli che non hanno studiato (17,5%). Sono poveri al sud (22%) molto più che al centro o al nord (rispettivamente il 6,2% e il 5,5%). Sono più poveri quelli che nella povertà ci sono già da qualche anno rispetto a quelli che vi sono appena entrati.

Quanti sono i poveri?
"Nel 2003 le famiglie in Italia che vivono in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 360 mila, pari al 10,6% delle famiglie residenti, per un totale di 6 milioni 786 mila individui, l'11,8% dell'intera popolazione." 1. L'Eurispes parla di 2,5 milioni di famiglie povere (circa 8 milioni di persone) alle quali vanno aggiunti altri 2,4 milioni di nuclei famigliari a rischio di povertà (il 10%). Gian Maria Fara, presidente di Eurispes, parla di un'Italia divisa tra "supergarantiti, poveri e a rischio povertà". E sottolinea che la categoria più penalizzata è quella dei lavoratori dipendenti, che vedono logorarsi il potere di acquisto del loro stipendi: 19,7% per gli impiegati, 16% per gli operai, 15,4% per i dirigenti e 13,3% per i quadri, nel biennio 2001-2003.
I dati che indicano una diminuzione di povertà relativa (dall'11,0% nel 2002, al 10,6% nel 2003) non sono indicativi. Infatti, spiega l'Istat, essi sono riferiti a un campione di 28.000 famiglie e il valore che si otterrebbe sull'intera popolazione è compreso, con una probabilità del 95%, tra il 10,1 e l'11,1%. Quindi, rispetto al 2002, la povertà relativa si è mantenuta stabile.
Quanti sono coloro che sono a rischio di povertà? I dati sono diversi, dipendono dagli indicatori (italiani o europei) e le differenze sono piuttosto sorprendenti: secondo le misure europee siamo molto più poveri - di almeno 5 punti percentuali - di quanto non dica l'Istat. Salvo poi scoprire con l'Istat che, fra famiglie "quasi povere" (7,9%), "appena povere" (5,7%) e "sicuramente povere" (4,9%), si raggiunge la preoccupante percentuale del 18,5%.

Quanto è difficile uscire dalla condizione di povertà?
Da un interessante studio4 risulta che ben il 46% della popolazione si è trovato sotto il livello di povertà almeno una volta in sette anni (1994-2001). Il 48% è riuscito ad uscirne solo dopo un anno, e fra il 19 e il 25% vi è ritornano dopo un anno. Per molti la povertà dura più a lungo: fra il 33 e il 40% quattro anni su sette e fra il 7 e il 14% tutti e sette gli anni. Risulta inoltre che escono dalla povertà più difficilmente le famiglie con bambini, le famiglie in cui la figura di riferimento è la donna, quelle con più di tre adulti, chi fa lavori saltuari o di durata minore di 15 ore, le persone "scoraggiate", quelle cioè che hanno perso la capacità di reagire.

1 Istat, "Povertà relativa in Italia nel 2003" (13 ottobre 2004).
2 Legge 14/02/2003, n.30 e successivo Dlgs n.276.
3 Caritas - Fondazione Zancan, "Vuoti a perdere. Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta", 2004, Ediz. Feltrinelli.
4 F. Devicienti e V. Gualtieri, "Dinamiche e persistenza della povertà in Italia", The World Bank, Washington DC e Dipartimento di Economia, Università di Torino, 24 settembre 2004.

 

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