Pubblicato su Politica Domani Num 42 - Dicembre 2004

L'uomo Awá-Guajá
Una storia vera, più bella di una favola. Ce ne parla padre Alessio Moiola, missionario nella terra dell'Amazzonia, con i suoi racconti e con le sue foto

 

L'indio di questa foto si chiama Karapiru. La sua incredibile storia è emblematica per tutti gli Awá-Guajá.
Nel 1978, perambulando nei pressi di Amarante cittadina della regione sud-occidentale del Maranhão, Karapiru e il suo gruppo familiare (è difficile dire quanti fossero, forse una dozzina), è attaccato da un gruppo di fazendeiros della regione, irritati per l'uccisione di alcuni capi di bestiame. La sua famiglia viene sterminata; si salvano soltanto Karapiru e uno dei figlioletti. Quest'ultimo, catturato dagli stessi assalitori, è poi consegnato alla Funai (Fondazione Nazionale degli Indios, organo del governo federale che si occupa degli stessi indios), che l'affida alla famiglia di uno dei funzionari. Karapiru, invece, riesce a fuggire e porta con sé la figlioletta di pochi mesi. Rimasta senza la madre, ovviamente la bimba muore dopo pochi giorni.
Di Karapiru non si hanno più notizie, ed è dato per morto. Ma ... 10 anni dopo, nel 1988, vaqueiros di fazendas nei pressi di Barreiras, nella Bahia occidentale circa 1500 Km più a sud, trovano più volte resti di vitelli uccisi: era evidente che qualcuno stava uccidendo le bestie allo scopo di nutrirsi. È un mistero. I vaqueiros si mettono alla caccia e dopo diversi giorni scoprono e catturano il colpevole. Con loro grande sorpresa constatano che si tratta di un indio isolato, cosa alquanto strana perché nella regione non ci sono popoli indigeni sconosciuti. Non lo uccidono e, non sapendo che fare, lo affidano ad una comunità nera della zona ed avvisano la Funai. La comunità nera accoglie l'indio sconosciuto, che appare particolarmente provato, lo nutre e lo cura con attenzione. Mesi dopo, arrivano i funzionari della Funai per portare via con loro quest'indio, il quale lascia controvoglia la comunità che l'aveva così ben accolto.
I funzionari lo portano a Brasilia dove antropologi e linguisti si danno da fare, senza successo, per capirne la provenienza e il popolo d'appartenenza. La lingua che parla è sostanzialmente sconosciuta e a gesti non riescono a capirsi più di tanto. I linguisti sospettano che venga dal nord del Goiás o del Maranhão, per questo chiedono alla Funai di S.Luis di inviare al più presto un funzionario che conosca bene le lingue indigene di quello stato e possa fare da interprete. L'interprete inviato a Brasilia è Txiramukun, un giovane Awá-Guajá che parla bene alcune delle lingue indigene locali e anche il portoghese, perché da ragazzo ha vissuto con una famiglia bianca.
Txiramukun messo a confronto con l'indio sconosciuto resta stupito e perplesso. Senza dire una sola parola gli si avvicina, gli sfila la camicia, mette la mano sulla cicatrice di una vecchia ferita d'arma da fuoco che l'indio ha sul retro della spalla e rivolto agli altri funzionari dice emozionato: "È Karapiru, mio padre".
Dieci anni di fuga in assoluta solitudine e più di 1500 chilometri separavano Karapiru dalla sua gente e dalla sua terra d'origine; ma ora, finalmente, poteva tornare a casa.
Oggi Karapiru vive in pace nel villaggio di Tiracambu, dove si è rifatto una famiglia ed è ritornato alla normalità della vita tra i suoi.
La maggioranza degli Awá-Guajá, sono sopravissuti a massacri brutali che li hanno segnati fisicamente e psicologicamente. L'incredibile storia di Karapiru è emblematica della sofferenza ma anche della tenacia e resistenza del popolo Awá-Guajá.

P. Alessio Moiola

 

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