Pubblicato su Politica Domani Num 42 - Dicembre 2004

Editoriale
La lezione degli indios

di Maria Mezzina

Vedete il bimbo della foto accanto? È una bambina Guajà e stringe fra le braccia una gallina, come farebbe uno dei nostri bambini con il gattino o il cagnolino di casa. "Non è la sua cena, ma il suo animaletto da coccolare e con cui giocare", ci spiega via e-mail Alessio Moiola, che ha scattato la foto e ci ha donato l'immagine (insieme ad altre, bellissime, su questo numero).
Certe persone per capire il senso del lavoro che fanno devi proprio conoscerle. Alessio è un missionario comboniano che è stato in Brasile per oltre venti anni. Attraverso Alessio abbiamo conosciuto (telefonicamente) Claudio Bombieri, un altro missionario comboniano, che è ancora in Brasile, e si occupa laggiù delle scuole e della "educazione" degli indios.
C'è in questo termine, "educazione", una valenza politica, una dignità morale, un sentire etico profondo che da noi sembra svanito del tutto.
Per quanto riguarda gli indios, c'è nella immensa terra del Brasile una situazione di grande vitalità, che è stata innescata da un articolo della costituzione del 1988. L'articolo riconosce alle innumerevoli genti indie che popolano quel Paese il diritto di continuare a vivere sulle loro terre e il diritto a conservare la loro identità e la loro cultura.
Ora, per gli indios, non esiste la proprietà della terra: la terra è di tutti perché è madre, ci accoglie e ci nutre. La terra non si può né violare, né si può possedere. Una formidabile lezione per noi occidentali, che siamo riusciti a privatizzare e a mercificare tutto.
Per alcuni di loro però la terra, il ricchissimo habitat in cui vivono da tempo immemorabile, contiene ricchezze di cui l'occidente viziato e sprecone non riesce a fare a meno. Sono ricchezze che hanno scatenato l'ingordigia furiosa di fazendeiros e di avventurieri che hanno provocato devastazioni e morte.
È il caso del popolo Awà-Guajà. Poco meno di 300 persone nella regione amazzonica del Maranhão. La loro storia è emblematica delle capacità di resistenza dell'uomo a ogni tentativo di distruggerlo e della sua capacità di risorgere: un segno augurale in questo tempo di Natale. (Su di loro in questo numero c'è un ampio ed esclusivo dossier)
L'impatto con la cosiddetta "civiltà" per molti indios è stato violento e drammatico. Degli oltre cinque milioni che erano, sono rimasti poco più di 500mila.
Gli indios non hanno scrittura e i loro linguaggi sono diversissimi. Anche le leggi sono estranee alla loro cultura. Gli indios hanno compreso però che, per sopravvivere, devono difendere i loro diritti e per questo hanno deciso di imparare la lingua dei bianchi, il portoghese, e di conoscere le loro leggi. In questa loro scelta consapevole e coraggiosa sono stati e sono aiutati dai missionari, che hanno organizzato per gli indios scuole molto speciali e progetti di alfabetizzazione.
Non si tratta di imparare a leggere e a scrivere con le regole dei nostri bambini: "A come albero", "C come casa". Si tratta piuttosto di imparare tutti gli strumenti necessari a capire gli altri: i funzionari, la gente delle città, i politici. Strumenti indispensabili per esprimersi, per dichiarare le proprie esigenze e per sostenere le proprie ragioni. Gli indios hanno capito che è conoscendo le leggi dello Stato, e sapendo come funzionano, che possono difendere la loro identità e i loro diritti.
Così, quello dei missionari e degli indios, insieme, è un lavoro di enorme valenza politica. Questo lavoro si esprime in modi diversi: a modo di Claudio, che ha scelto di rimanere in Brasile accanto alle popolazioni indigene, ma anche a modo di Alessio, che è tornato in Italia con le sue immagini, e parla alla gente della vita e dei diritti degli indios.
La storia delle lotte degli indios per la loro sopravvivenza e la loro gentile tenacia è un esempio che ci chiama direttamente in causa. Dobbiamo rivedere le nostre priorità. Dobbiamo salvaguardare i valori veri della nostra cultura, che sono i valori positivi e costruttivi del dialogo, della partecipazione, della perseveranza, della ingegnosità, dell'accoglienza e dell'apertura alle altre culture.
Gli indios lo hanno capito, noi no.

 

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