Pubblicato su Politica Domani Num 41 - Novembre 2004

Una pianta e una coltivazione preziose
Quanto è antico l'olivo
Trascurate dagli storici antichi, le origini dell'olivicoltura in Italia possono essere determinate con lo studio dei reperti archeologici, rinvenuti specialmente nella zona del cosentino in Calabria

di Alberto Foresi

La più antica notizia sulle origini della coltivazione dell'olivo in Italia appare in Plinio il Vecchio: III secolo a.C., ma l'informazione, contenuta nel XV Libro della Storia Naturale, viene da notizie prese dal trattatista Teofrasto e dallo storico Fenestella. Catone, Varrone, Columella e Palladio, i maggiori agronomi romani, neanche affrontano il problema dell'origine della pianta né degli inizi della sua coltivazione nonostante nei loro trattati ci siano minuziose trattazioni dei metodi di coltivazione dell'olivo, di estrazione dell'olio, del suo uso e della sua conservazione. Né lo fa Isidoro di Siviglia (VI-VII sec.), sebbene anch'egli tratti diffusamente di olio ed olive nei suoi Etymologiarum Libri.
Stando a recenti acquisizioni archeologiche la presenza dell'olivo in Italia è più antica. La coltivazione dell'olivo e l'uso di olio ed olive era presente già in età etrusca: noccioli di olive sono stati trovati all'interno di anfore etrusche, in un relitto risalente al 600 a.C. recuperato nei pressi dell'isola del Giglio; noccioli di olive giacevano in un bacile bronzeo nella tomba detta "delle olive" di Cerveteri (575-550 a.C. circa) e ancora altri noccioli sono stati trovati presso il santuario di S. Omobono a Roma (VII-VI sec. a.C.). Parlano di olio anche i numerosi unguentari etruschi in bucchero o in argilla figulina (650/550 a.C.); uno di essi porta perfino un'iscrizione dedicatoria: "balsamario io (sono) da olio". L'introduzione dell'olio nel mondo romano potrebbe quindi essere avvenuta proprio verso la fine dell'età monarchica (VI sec. a. C.), ai tempi dei re etruschi.
Recenti ricerche archeologiche sulla civiltà protostorica in Italiaì retrodatano ulteriormente di numerosi secoli l'introduzione della coltivazione dell'olivo nel nostro Paese. Dall'analisi antracologica dei carboni rinvenuti negli scavi di Broglio di Trebisacce (età del Bronzo recente, XIII-XII sec. a.C) è emerso che i campioni di olivo costituiscono il 61% del totale. L'olivo c'era, quindi, anche se non è possibile determinare se i campioni sono di olivo coltivato o di oleastro (data l'omogeneità a livello anatomico tra i due legnami) e provare pertanto la pratica della coltura. Risalirebbe quindi alla fine del secondo millennio a.C. la pratica dell'olivicoltura lungo la costa calabra, probabilmente inserita in un ambiente deforestato a vantaggio della macchia mediterranea.
È certa invece la coltivazione dell'olivo e l'estrazione dell'olio nella successiva età del Bronzo finale (XI-X sec. a.C.).
La campagna di scavo del 1982 nell'acropoli di Broglio ha fornito una serie di prove sicure. È stato scoperto un ambiente ad uso non abitativo di pianta perfettamente rettangolare di misure singolarmente una doppia dell'altra (6,6x3,3 m.). L'ambiente era parzialmente infossato nel terreno per circa un metro e sopra di esso si innalzavano muri di pietrame a secco intonacati al loro interno con argilla cotta a fuoco. All'interno dell'ambiente ci sono frammenti di ceramica appartenenti a ben cinque dolii cordonati di grandi dimensioni, per una capacità complessiva stimata superiore ai 5000 litri. Certamente l'ambiente era utilizzato come deposito per l'immagazzinamento di derrate alimentari. Le dimensioni sono tali da far supporre un'utilizzazione non semplicemente domestica ma piuttosto una forma di immagazzinamento centralizzato. Inoltre la perizia tecnica e l'investimento di lavoro necessari alla fabbricazione dei dolii trovati nell'ambiente spinge a ritenere che fossero destinati alla conservazione di derrate di particolare valore alimentare, quale l'olio o il vino. I frammenti di dolii rinvenuti all'interno del magazzino hanno fornito la prova definitiva dell'uso di olio di oliva da parte degli Enotri nell'età del Bronzo finale: dagli esami di impregnazione cui è stato sottoposto un campione, è emerso che il recipiente conteneva olio d'oliva. Inoltre i frammenti di dolio ritrovati nel magazzino non giacevano direttamente sul pavimento, ma su uno strato grasso nerastro, quello formato dall'olio contenuto nei dolii stessi fuoriuscito durante il periodo d'uso della struttura.
La coltura dell'olivo e la spremitura dell'olio a Broglio, certa nell'età del Bronzo finale e probabile nella precedente età del Bronzo recente, rivelano una civiltà caratterizzata da una evoluta arboricoltura ed esperta nella produzione e nella conservazione degli alimenti.
Il caso di Broglio di Trebisacce, sebbene questo sia stato sinora il sito dell'età del Bronzo più esplorato nella Sibaritide, non dovrebbe essere però un caso isolato: interessanti evidenze archeologiche sono infatti emerse nel corso di scavi iniziati a Torre del Mordillo, località posta al centro della Sibaritide, in posizione tale da consentirgli (teoricamente) un più importante ruolo politico ed economico rispetto a Broglio.
Alla luce di quanto è stato sinora scoperto, mentre appaiono inesatte le datazioni indicate da Plinio il Vecchio, trovano invece conferma le notizie tramandate da Aristotele nel VII libro della Politica: parlando di Italo, mitico re degli Enotri, Aristotele afferma che costui portò il suo popolo dal nomadismo all'agricoltura, promulgò leggi e per primo istituì le "sissizie", pranzi sociali collettivi con funzioni rituali e assistenziali. In particolare, proprio l'esistenza di magazzini di derrate alimentare centralizzati sembra testimoniare l'intervento normativo di élites detentrici del potere volto ad assicurare la sussistenza alimentare della popolazione in eventuali periodi di crisi.

ì Segnaliamo in particolare le evidenze archeologiche emerse dalle numerose campagne di scavo condotte a partire dal 1979 nell'insediamento enotrio di Broglio di Trebisacce, nell'alto Jonio cosentino.

 

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