Pubblicato su Politica Domani Num 41 - Novembre 2004

I dolii di Broglio

di Alberto Foresi

Interessanti dati sono emersi dallo studio dei frammenti di dolio rinvenuti sull'acropoli di Broglio nel corso degli scavi del 1982. I dolii erano caratterizzati dall'impiego di argilla figulina depurata, con l'aggiunta di correttivi selezionati per qualità, quantità e dimensione, quali la siltite, l'arenaria e la calcite. La lavorazione veniva effettuata al tornio e successivamente si procedeva alla cottura in forni ad alta temperatura. Prove, queste, delle evolute capacità tecniche e produttive raggiunte dagli artigiani locali.
Dai confronti con gli altri reperti rinvenuti nella Sibaritide, è emerso che, nel Bronzo recente, il 70% dei dolii di Broglio è di produzione locale; la percentuale sale all'80% nel Bronzo finale. La produzione locale era finalizzata primariamente alla realizzazione di dolii di ampie dimensioni, difficilmente trasportabili, destinati quindi all'uso all'interno di magazzini. Numerosi frammenti di dolii di minori dimensioni di produzione non locale sono stati rinvenuti sparsi nell'area dell'acropoli; il loro uso evidentemente destinato al trasporto e non all'immagazzinamento testimonia l'esistenza di una fitta rete di scambi commerciali, favorita anche dalla vicinanza con il mar Jonio.
Nel corso della successiva campagna di scavi, condotta tra il 1990 e il 1994, è stata scoperta un'ulteriore struttura contenente dolii. Anch'essa aveva evidenti funzioni di magazzino e, data la vicinanza, probabilmente apparteneva al medesimo complesso edilizio scoperto nella precedente campagna. Questo dato conferma lo sviluppo dell'antico sito, in particolare riguardo alle capacità degli abitanti di immagazzinare e conservare derrate alimentari, presumibilmente anche in questo caso vino ed olio, in strutture centralizzate per un possibile uso collettivo.

 

Noccioli, carboncini e altri indizi

Una quindicina di noccioli rinvenuti nell'abitato di Broglio, risalenti al Bronzo recente confermano l'ipotesi della esistenza di olivi. Nonostante le gamme dimensionali dei noccioli di olivo e di oleastro spesso coincidano, alcuni dei noccioli reperiti a Broglio si differenziano a tal punto da quelli di oleastro da consentire ragionevolmente di determinarne l'appartenenza alla specie Olea sativa coltivata e non allo spontaneo Oleaster.
L'analisi antracologica effettuata sui reperti degli scavi di Broglio rivela che i resti carbonizzati di olivo provengono da rami di modeste dimensioni, probabilmente rami potati di piante coltivate, disponibili in abbondante quantità. Anche la presenza nei campioni di latifoglie e di conifere sempreverdi come il ginepro indica un ambiente ecoclimatico confacente all'olivo coltivato.
Numerosi frammenti di dolii di influenza egea, ritrovati ai medesimi livelli stratigrafici e destinati a contenere alimenti di particolare pregio sono, infine, un altro possibile indizio dell'ormai praticata estrazione dell'olio.

 

La testimonianza di Plinio il Vecchio

"Teofrasto, uno dei più noti scrittori greci, affermava, all'incirca nel 440 dalla fondazione di Roma (314 a.C.), che l'olivo non può crescere a più di 40 miglia dal mare, mentre per Fenestella esso era del tutto sconosciuto in Italia, Spagna ed Africa durante il regno di Tarquinio Prisco, nell'anno 173 di Roma (581 a.C.); ora questo albero, traversate perfino le Alpi, ha raggiunto anche il centro della Gallia e della Spagna.
Comunque sia, nell'anno 505 di Roma (249 a.C.), sotto il consolato di Appio Claudio, nipote del Cieco, e di Lucio Giugno, furono vendute dodici libbre di olio a dieci assi e, successivamente, nell'anno 680 (74 a.C.), l'edile curule Marco Seio, figlio di Lucio, assicurò al popolo di Roma, per tutto l'anno, dieci libbre d'olio ad un asse."
[Plinio il Vecchio, Storia naturale, XV, 1, trad. di A. Aragosti, Torino 1984].

 

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