Pubblicato su Politica Domani Num 4 - Aprile 2001

Sembra inevitabile
GLOBALIZZAZIONE
ma vogliamo entrare nel merito?

 

Globalizzazione, parola dal suono sgraziato tipico di termini tecnici stranieri italianizzati. Difatti tale vocabolo proviene dal francese ed è proprio della psicologia che con esso designa un processo cognitivo proprio dell'età infantile. Dagli anni '80 si è preso ad adoperare il termine con riferimento alla sempre maggiore interdipen-denza delle società del mondo. Tra i primi ad occuparsi della "globalizzazione della vita sociale", A. Giddens rileva l'esistenza di una fitta rete di relazioni politiche, economiche, culturali che supe-rerebbe le frontiere dei singoli stati determinando un processo di condizionamento reciproco. Pare che nell'accezione comune con la parola globalizzazione s'intenda la "globalizzazione dell'economia": la tendenza di mercati ed imprese ad assumere una dimensione mondiale. Questa tendenza si è senz'altro radicalizzata nell'ultimo ventennio, ma essa è figlia di processi in atto da secoli. Ciò appare evidente se si nota come, circa duecento anni fa, Ricardo elaborasse il "teorema dei costi comparati", apologia degli scambi internazionali. Alle teorie ricardiane, a ben guardare, fanno capo gran parte delle argomentazioni degli odierni paladini del mercato globale. Ciò detto ri-mane il dubbio: è questo un processo inevitabile? E ancora: è in sé una tendenza positiva o negati-va? Personalmente sono convinto che l'economia sia una creazione dell'uomo e perciò che ogni fatto non sia un ineluttabile evento naturale. Ogni processo non si autoalimenta, ma è frutto del vo-lere e degli sforzi degli uomini. Un giudizio di merito è compito più arduo. La capacità delle imprese di dissociare la gestione dalla produzione e di dirottare quest'ultima dove più è possibile risparmiare, ha permesso di abbattere i costi di produzione. Allo stesso tempo però ha determinato lo sradicamento d'alcune economie lo-cali di sussistenza, l'incremento del dispendio energetico per il trasporto delle merci. Nel villaggio globale coesistono a gomito a gomito sfarzo e miseria, c'è chi si arricchisce spostando capitali e chi sopravvive cercando tra i rifiuti in una discarica. Il problema non è la globalizzazione, ma ciò che si globalizza: si vuole esportare su scala mondiale un sistema folle che impone una crescita disarmo-nica ed incontenibile. Una mondializzazione delle questioni politiche, sociali ed economiche do-vrebbe garantire una maggiore possibilità di escogitare soluzioni accettabili dai più. Questo sarà pe-rò irrealizzabile fino a che non si costituiranno degli organismi politici sovra nazionali realmente rappresentativi. Certo la prospettiva di una democrazia globale è tanto affascinante quanto impro-babile. Mentre lavoriamo perché questa non resti solamente utopia, abbiamo una sola carta da con-trapporre alla globalizzazione del libero mercato e dell'omogeinizzazione culturale: la globalizza-zione della resistenza e del libero pensiero. È necessario svincolaci dal sistema del consumo smo-dato come norma sociale, scoprire il consumo critico, alimentare il dibattito su questi temi, cambia-re il mondo cominciando dal nostro stile di vita. Per cominciare in luglio si potrebbe programmare un viaggetto a Genova.

Giorgio Innocenti

 

Homepage

 

   
Num 4 Aprile 2001 | politicadomani.it