Pubblicato su Politica Domani Num 39/40 - Set/Ott 2004

Dove sono?
Nunca mas desaparecidos
26 anni, sono ormai le nonne di Plaza de Mayo a chiedere verità e giustizia

di Armando Capannolo e Fabio Antonilli

Mai più! "Nunca mas!" è il grido delle nonne di Plaza de Mayo. Esso è risuonato anche in un'aula della facoltà di Scienze Politiche, all'Università La Sapienza di Roma, davanti a una platea di studenti del corso in Storia dell'America latina. Lo ha gridato ancora una volta Estela Carlotto, grintosa signora ultraottantenne, presidente dell'associazione delle nonne di Plaza de Mayo, venuta a Roma insieme a Rosa, un'altra sua compagna di lotte.
1976-1982, nell'Argentina di Pinochet scompaiono centinaia di persone, molti sono bambini. Caduta la dittatura, il dramma delle loro madri diventa di dominio pubblico, eppure si fa poco o nulla per assicurare alla giustizia i responsabili e trovare gli scomparsi: la gente appare inconsapevole e sonnolenta.
Le nonne sono le madri di ragazze "desaparecidas", incinte al momento della loro scomparsa. Cercano le loro figlie e i loro nipoti, neonati spesso adottati illegalmente dalle famiglie dei militari. Ma soprattutto vogliono giustizia, rinunciando anche ai propri nipoti. È infatti un dibattito aperto se sia giusto rivelare ad un ragazzo serenamente cresciuto, spesso in Europa, nella famiglia di un ex militare, che colui che egli ritiene suo padre, non è il genitore naturale, e che lo ha rapito quando era appena nato, e che è anche responsabile della morte di sua madre.
L'esito positivo del processo, svoltosi a Roma, contro alcuni militari argentini è una vittoria solo simbolica perché l'Argentina non prevede l'estradizione di suoi cittadini condannati all'estero per reati commessi contro cittadini stranieri. Inutilmente si è cercato di fare giustizia: le pressioni dell'esercito e la paura di scatenare una reazione militare nella appena nata e ancora debole democrazia argentina hanno costretto le autorità giudiziarie ad assolvere molti militari di grado inferiore, obbligati ad obbedire agli ordini ricevuti dai comandanti di zona e sottozona, e in seguito, con un'amnistia che escludeva solo il reato di sottrazione di minori, sono rimasti impuniti anche i comandanti. Ora l'amnistia è stata abrogata e alcune decine di questi militari sono stati condannati.
I quattro figli di Estela Carlotto frequentavano il liceo e l'università, ma la dittatura colpiva anche gli studenti liceali che venivano sequestrati e fatti sparire per aver preso parte ad una protesta contro il rincaro dei prezzi alla mensa scolastica. "Mia figlia Laura, studentessa di Storia all'Università de La Plata, fu sequestrata che era incinta. Ha avuto un maschio all'ospedale militare il 26 giugno 1978, ma dopo poche ore è stata separata dalla sua creatura, che tuttora non si sa dove sia. So solo che Laura due mesi dopo fu uccisa. Oggi continuo a cercare mio nipote in tutto il mondo, per la verità e la giustizia. Dopo 26 anni cerchiamo ancora i nostri "desaparecidos". Inizialmente, le maggiori difficoltà erano dovute al fatto che non avevamo le foto di riconoscimento degli "hijos" delle nostre figlie. Poi, nel 1983, nasce la Banca Nazionale dei Dati Genetici, che conserva il codice del nostro DNA e lo confronta con quello dei ragazzi le cui origini sono dubbie. Finora sono stati trovati 77 nipoti". Esistono anche un gruppo investigativo di genetisti, con ricerche di medicina legale è infatti possibile sapere se le donne allora sequestrate hanno poi partorito, e un'équipe di psicologi, per aiutare i ragazzi e le loro famiglie a superare il dramma della verità. L'intera comunità internazionale si è mossa. Le due signore ricordano la Chiesa Evangelica Protestante, Amnesty International, l'Unione Europea, molte associazioni filantropiche e alcuni ambienti scientifici statunitensi.
Sono scomparsi anche preti e suore, ma le gerarchie ufficiali della Chiesa cattolica non hanno aiutato, né allora né adesso . "Soltanto cinque vescovi coraggiosi e molti semplici preti ci hanno aiutato - dice la Carlotto - Il Papa, nonostante la sua vicinanza ai popoli sudamericani, non ha mai fatto un appello pubblico, neanche dopo un lungo e dettagliato dossier che gli abbiamo inviato. Nei pochi minuti di incontro con il Santo Padre ci è stato detto che non era a conoscenza di questa storia, ma che avrebbe pregato per noi".

 

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