Pubblicato su Politica Domani Num 39/40 - Set/Ott 2004

Fiat
Fabbrica Italiana Automobili Torino
Un patrimonio da non disperdere, nonostante le difficoltà della ex grande casa automobilistica

di Maria Mezzina

Aveva visto giusto l'Avvocato quando, alla fine degli anni '90, disse che sarebbero rimaste sulla scena soltanto una mezza dozzina di industrie automobilistiche. Ora, a 15 anni di distanza, secondo un recente dossier pubblicato dall'Economist (2 settembre 2004), i sei gruppi che coprono circa il 70% del mercato mondiale sono General Motors, Toyota, Ford, Renault/Nissan, Volkswagen e DaimlerChrysler (associati compresi). Ciò che probabilmente Gianni Agnelli sperava era che la Fiat avrebbe fatto parte di quella manciata di giganti. Non è stato così.
Una serie di eventi hanno segnato profondamente la Fiat in questi ultimi cinque anni:
Gravi lutti hanno colpito la famiglia: la prematura scomparsa di Giovannino, primogenito di Umberto e destinato ad essere il successore dell'Avvocato alla guida dell'azienda; la morte di Edoardo, figlio di Gianni, spirito sensibilissimo e libero, la scomparsa di Gianni Agnelli e infine quest'anno la morte di Umberto.
La crisi mondiale che ha colpito l'industria dell'auto, per la Fiat è stata particolarmente pesante. Sperando forse di limitare le perdite dovute ad un probabile ristagno del mercato automobilistico, la Fiat si è lasciata andare ad una eccessiva diversificazione del capitale (il gruppo si era impegnato persino nella moda), a scapito del settore auto, lasciato un po' andare alla deriva; specie dopo che la General Motors, il nuovo partner della Fiat, aveva imposto alla casa italiana di sospendere le ricerche sull'auto a motore elettrico. La crisi è scoppiata in pieno nel 2002 ed è stata resa ancora più drammatica dalla incapacità da parte del management e dei sindacati di accordarsi su possibili vie di uscita.
Per uscire dalle secche in cui si era impantanata, la Fiat è stata costretta alla ricapitalizzazione delle sue azioni; un sacrificio, questo, chiesto ai suoi azionisti e, in parte, accettato. Ma a questo punto c'è stato il rifiuto da parte della General Motors di ricapitalizzare la propria quota di azioni (pari al 20% dell'intero capitale Fiat). Il rifiuto ha fatto pensare non pochi a una manovra studiata apposta dal gigante di Detroit per mettere le mani a prezzi stracciati sul patrimonio automobilistico della compagnia italiana.
Tutto ciò ha avuto sulla Fiat un profondo impatto negativo: la più grande impresa italiana si trova ora ad occupare la parte bassa delle classifiche delle immatricolazioni, e secondo uno studio fatto dalla Goldman Sachs (banca di investimento), si trova addirittura nella zona di "value destruction", dove cioè il capitale di un'impresa diminuisce nel tempo.
Quanto a produttività la Fiat occuperebbe l'ultimo posto fra le grandi fabbriche automobilistiche e, a detta dell'Economist, sarebbe sull'orlo del fallimento. Si tratta però di un giudizio buttato là, mancando nel dossier una seria e approfondita analisi.
Il dossier dell'Economist, tutto incentrato sulle ragioni della crisi dell'auto a livello mondiale, si sofferma sulle industrie statunitensi e su quelle europee. Pochi e scarni sono gli accenni alla Fiat. Ciononostante, quando ne parla, un paio di volte, il giudizio è piuttosto severo: ritiene infatti negativa l'appartenenza della casa automobilistica ad una famiglia e considera un errore la mancata cessione di Fiat auto alla Chrysler a causa della mancanza da parte della casa americana delle garanzie previdenziali (pensione) e assistenziali (cassa malattia) per i dipendenti che avrebbero cambiato padrone.
Le imprese automobilistiche - si legge nel dossier - sono in perdita, paradossalmente, per eccesso di produzione: mantenere posti di lavoro, sostenere le spese delle pensioni e dell'assistenza sanitaria per i propri dipendenti e vendere agli stessi solo un quarto delle automobili prodotte è "aberrante". E la colpa è delle famiglie proprietarie, che non amano disfarsi dei loro "gioielli", delle banche che le finanziano e dei governo che le sostengono.
Con tutto il rispetto dovuto a un giornale prestigioso come l'Economist, l'analisi mi sembra troppo superficiale e, soprattutto, non tiene conto di una variabile importante: la variabile umana. Inoltre, specie quando si tratta di grandi imprese con migliaia di dipendenti, le conseguenze sociali che la strategia dei licenziamenti di massa potrebbe innescare sarebbero dirompenti.
La Fiat sta uscendo, lentamente, da un periodo difficilissimo per le ragioni già dette. Ma la Fiat, oltre ad essere un pezzo di storia italiana lontana dall'essere finita, nonostante le apparenze e le pressioni (soprattutto straniere), è una importante realtà economico-sociale attorno alla quale ruotano innumerevoli altre realtà produttive: nel distretto industriale di Melfi accanto agli stabilimenti dell'auto ci sono moltissime altre fabbriche e un centro commerciale.
Posta al centro del Mezzogiorno d'Italia, Melfi ha fatto e fa da volano a tutta una serie di piccole nuove imprese di successo.
Un tale patrimonio di esperienza, di competenze, di capitali e, non ultimo, di attaccamento e di affetto non può essere disperso e bene ha fatto Gianni Agnelli quando non ha voluto cedere la proprietà del settore Fiat auto né alla BMW, né, alla fine del 1999, alla Daimler Chrysler.
E ancora bene ha fatto la famiglia Agnelli quando, alla morte di Umberto, ha nominato Presidente dell'azienda Luca Cordero da Montezemolo, vicinissimo alla famiglia, evitando così un'eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo - Giuseppe Morchio - che già era amministratore delegato. Cosa questa che ha provocato le immediate dimissioni di Morchio dalla sua carica.
Per una volta a vincere non è stato semplicemente un calcolo basato su opportunità di realizzazione di capitale, ma considerazioni molto più complesse: l'attaccamento della famiglia alla fabbrica e a ciò che essa ha rappresentato per un'intera generazione di italiani (e ancora rappresenta) e le implicazioni sociali che un suo smantellamento, o un suo passaggio nelle mani di proprietari stranieri comporterebbero, hanno giocato un ruolo fondamentale

 

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