Pubblicato su Politica Domani Num 39/40 - Set/Ott 2004

Editoriale
Un giorno di festa da non dimenticare

di Maria Mezzina

È stato un giorno di festa il 28 settembre scorso. Le nostre ragazze, Simona e Simona, sono state liberate, e con loro anche Mahnaz e Ra'ad, gli altri ostaggi di "Un ponte per ...".
Nella stessa giornata Putin ha firmato il protocollo di Kyoto. Dopo la marcia indietro degli USA voluta da Bush (Clinton vi aveva aderito), era quanto occorreva perché non diventasse carta straccia.
Gli oppositoridi Kyoto in Russia sostengono che il Paese pagherà con il rallentamento della sua ripresa economica la scelta di Putin. Ma quella firma vale il sostegno dei governi europei. Dopo le ultime drammatiche vicende dell'Ossezia e l'isolamento politico in cui si trova Putin a causa della Cecenia, questo sostegno potrebbe aprire alla Russia le porte del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio).È stata quindi una vittoria del compromesso e degli interessi reciproci; una vittoria in cui consapevolezza del valore intrinseco di quel protocollo è lontana mille miglia.
È però una vittoria importante che mette in gioco perfino i risultati elettorali negli Stati Uniti perché riapre a meno di un mese dalle elezioni il dibattito sull'ambiente. Ed è una vittoria dell'Europa che mostra così di essere una forza politica di tutto rispetto nel contesto mondiale.
Nel caso delle giovani rapite e poi liberate in Iraq, se pure calcolo politico c'è stato, ciò che ha veramente vinto sono stati il dialogo, la capacità di costruire ponti fra culture e religioni diverse, i valori profondi che uniscono, e, soprattutto, è stata la richiesta incessante di pace. Una richiesta che diventa sempre più chiara, insistente e decisa.
I "pacifisti", anche quelli che non hanno altra possibilità che marciare nei cortei della pace, irrisi da un nostro autorevole rappresentante di governo, in più di cento milioni il 15 febbraio di oltre un anno fa sono scesi insieme nelle strade per cercare di fermare la guerra. Non ci sono riusciti. Il New York Times li aveva allora definiti la seconda potenza mondiale dopo gli Stati Uniti. Per oltre due anni hanno continuato a resistere alla guerra e, forse, riusciranno a vincere la pace.
Intanto hanno vinto la vita: Simona e Simona e Mahnaz e Ra'ad sono stati liberati e sono vivi.
La strategia segreta di questa radiosa vittoria, una strategia preparata con cura, è fatta di lavoro fra la povera gente, di quel dare con il sorriso, di quell'esporsi apparentemente inermi, senza nessuna scorta militare ma in realtà forti della stima e dell'affetto del popolo iracheno.
Giusto, quindi che il grazie più sentito sia andato agli iracheni e ai capi religiosi islamici. Un poco più freddo quello verso il Governo italiano che ha fatto la scelta più giusta. È stato pagato un riscatto? E allora? "Chi se ne frega", non potremmo essere più d'accordo con la colorita espressione di Antonio Di Pietro. Qualcuno si è risentito di questa "freddezza" e non ne ha fatto mistero. "Hanno stufato" è stato il titolo in prima pagina di un giornale che preferiamo non citare a commento della conferenza stampa tenuta dalle ragazze, nella quale ribadivano la loro contrarietà alla guerra e la necessità di ritirare i militari dall'Iraq.
La guerra si è rivelata per quello che è: un "genocidio di poveri", come da tante parti era stato ammonito. La "vittoria" annunciata a maggio si è trasformata in una carneficina. La "sicurezza" finalmente conquistata con la caduta di Saddam colora i volti dei soldati statunitensi di tensione e paura, indurisce i loro cuori e si tinge di sangue.
Allora chi questa guerra ha voluto per calcolo o per stupidità e chi vi ha partecipato inviando i suoi soldati non può pretendere nulla. Specie da chi di quella guerra è testimone e vittima perché è proprio lì giorno dopo giorno in prima linea ad aiutare la gente con cui condivide paure, e speranze, e paga di persona anche con la vita, come è accaduto ad Enzo Baldoni.
Il sorriso di due ragazze che giocano a girotondo con i bambini iracheni, trasmesso più e più volte dalla TV italiana, immagini arrivate certamente fino in Iraq, ha potuto di più di tanti elicotteri Apache con il loro carico di bombe e di morte.
Si può anche non essere d'accordo sulle analisi del passato e le strategie per il futuro, ma ciò che è accaduto dal 7 al 28 settembre è una lezione da non dimenticare.

 

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