Pubblicato su Politica Domani Num 39/40 - Set/Ott 2004

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Dal diario di Enzo Baldoni
In Iraq Enzo Baldoni teneva un warblog. Ci annotava se stesso, il suo modo di essere e di vedere attraverso un sorriso anche la guerra. I media non ne hanno parlato. Oltre all'uomo di fronte alla guerra in quel diario ci sono, fra le righe, le chiavi del perché della sua morte

 

All'ospedale della Croce Rossa
(sabato 14 agosto 2004)

Vado a visitare l'ospedale della Croce Rossa Italiana a Baghdad.
Il direttore dell'ospedale è un giovane quarantenne dall'aria decisa. Si chiama Beppe De Santis. Ci diamo subito del tu.
Non è facile essere italiani a Baghdad; infatti gli hanno sparato un RPG nel reparto, il mese scorso.
Beppe mi presenta il Dottor Mimmo Prete, il direttore sanitario. Sono una bella coppia.
Beppe è l'operativo, duro e cazzuto, di poche parole, che fa filare l'ospedale, s'incazza con le burocrazie incrociate di Roma e Baghdad e risolve i problemi. Uno di quei tipi che sanno far viaggiare le merci, far filare gli uomini e organizzare ospedali da campo in grado di operare a poche ore dall'arrivo.
Mimmo è un internista del Sant'Anna di Como, ha sette figli ed è più morbido, più filosofo, più vicino alla psicologia dei pazienti. Mi racconta di quanto è dura vedersi morire intorno tanti bambini bruciati. Perché l'ospedale della Croce Rossa Italiana a Baghdad si è trovato a gestire il campo più difficile: le grandi ustioni.
"Cosa vuoi" dice Mimmo, con modestia "Quando siamo arrivati, nei giorni dell'invasione, ci hanno fatto rizzare il campo in mezzo a venti ospedali. Ci hanno mandato - ovvio, era una mossa politica, facevamo parte della Coalizione - ma ci sentivamo inutili. A cosa servivamo? I medici iracheni sono bravissimi. Poi un giorno uno mi butta in braccio un bambino carbonizzato..."
"Già. Proprio carbonizzato" fa Beppe, il duro. "Un carboncino che urlava. E un medico iracheno ci fa: 'Ormai è morto, buttatelo via'. E io: 'Col cazzo che lo buttiamo via. Proviamo a salvarlo."
[...] "Non esisteva in tutto l'Irak un reparto grandi ustionati. Ce lo siamo inventato noi. Poi figurati, nel primissimo dopoguerra: mine, bombe, macchine esplose. Arrivava di tutto."
[...] "Ci siamo scelti una bella gatta da pelare. Ma va bene così. A proposito, come sta quel ragazzo cieco?"
"Finora sembra che ce la faccia."
"Bene, Perché quella è una mia battaglia personale."
È un duro, il Beppe.
[...] I nostri sono cavallereschi e cortesi nei confronti del paese ospite.
In realtà io so, da altre fonti, che la corruzione è diffusa negli ospedali iracheni (e anche in quelli italiani, se è per questo), e che spesso gli interpreti "vendono" le visite: tu sì, tu no. Ma siamo in Medio Oriente, è un altro mondo, tra il personale iracheno ci sono certamente degli informatori e degli ex elementi del vecchio regime.
Bisogna saper rispettare certi difficili equilibri, e scendere a qualche compromesso per arrivare all'obiettivo finale: salvare delle vite.
(Vivo più velocemente di quanto riesca a scrivere. Riprendiamo l'ordine cronologico del racconto, da quando nasce l'idea di portare medicinali a Najaf: siamo a venerdì 13 agosto.)
Najaf è assediata, Mouktada è ferito, la popolazione è senz'acqua e senza medicinali.
"E se glieli portassimo noi?" mi fa Ghareeb.
"Ma sei scemo?" gli rispondo.
"Per niente. Perché non chiami quel medico alla Croce Rossa? Peppi? Proviamo a chiedere a lui."
[...] Parliamo con Beppe De Santis e Mimmo Prete. Sono immediatamente entusiasti dell'idea, ma la loro preoccupazione è identica alla mia: non si può partire senza i permessi delle autorità di Najaf, cioè di Mouktada Al Sadr e dei suoi uomini.
"Non preoccupatevi" sorride Ghareeb "Mi conoscono, ho già portato aiuti umanitari. Lasciatemi fare un paio di telefonate."
Diavolo d'un uomo. Nel giro di un'ora, col suo Nokia da cinquanta euro, ha già tutte le autorizzazioni necessarie da parte dell'Esercito del Mahdi. Beppe fa un paio di controlli incrociati coi suoi aiutanti iracheni: le autorizzazioni sono kosher.
(martedì 17 agosto 2004)
Mi butto esausto sul letto. Ghareeb continua a telefonare, tessendo la sua rete di contatti umanitari. A mezzanotte e mezzo squilla il cellulare: è Beppe. Ha la voce stanca e scazzata:
"Ho appena parlato con Roma. Missione sospesa."
"Cosa? Ma è assurdo! Abbiamo i camion carichi, gli equipaggi pronti!"
"Lo so. È tutto il giorno che mi faccio il culo. Ho fatto gli elenchi degli uomini e dei mezzi, ho anche un lasciapassare firmato dal comando della Coalizione, sono andato a prenderlo personalmente dal Generale Novelli. Ma la missione è sospesa per motivi tecnici. Problemi all'autoparco."
"Beppe, stai scherzando, vero?"
"È la mia risposta ufficiale: problemi all'autoparco. Chiudo. Buonanotte."
Ha la voce incrinata dalla rabbia e dalla frustrazione.
[...] Arriviamo di buonora all'ospedale della Croce Rossa. Tutti sono scazzati e tristissimi perché "si sono rotti i camion".
"È sempre così" si sfoga un giovane volontario "Noi siamo qui che ci facciamo il culo a strisce per aiutare la gente che soffre e a Roma i burocrati ci mettono i bastoni tra le ruote. Già, perché mica li vedono, loro, i bambini che muoiono di diarrea e di tifo. Fanculo, 'sti stronzi."
Beppe, quadrato, cazzuto, non fa commenti: ripete solo che, per motivi tecnici, è impossibile per la Croce Rossa Italiana consegnare i medicinali.
E qui entra in scena un altro degli incredibili contatti umanitari di Ghareeb.
È una donna. Una di quelle donne intelligenti, giovani e volitive che si vede lontano un miglio che diventeranno importanti.
È molto bella, è molto chic, ha molto charme e viene da una delle migliori famiglie di Baghdad. È una di quelle donne che hanno potere, e che lo sanno usare per raggiungere i loro obiettivi. Nel giro di due ore mette in moto un giro di contatti vertiginoso.
Altro che affittare un camion: la Mezzaluna Rossa produce gratuitamente due camion e alcuni volontari. E i permessi. E gli accordi.
E trova anche il tempo per mettere le basi, assieme a Beppe e a Mimmo, di un programma di vaccinazione dei bambini iracheni.
Ghareeb è contento come un bambino: la spedizione dei medicinali e dei materiali di pronto soccorso per i bambini e i feriti di Najaf è rimandata solo di un giorno. E in più c'è la possibilità dell' ennesimo gemellaggio tra la Croce Rossa Italiana e la Mezzaluna Rossa Irachena per una missione umanitaria. Noi, gli invasori, i nemici, quelli su cui pesa così spesso l'accusa: "Con una mano ci ammazzate e con l'altra ci curate".
Arrivano i camion della Mezzaluna, si dispongono coda a coda con quelli della Croce. I volontari italiani e iracheni (tra questi alcune ragazze molto graziose) passano cinque tonnellate d'acqua e otto tonnellate di medicinali da un camion all'altro ("Aoh, guarda li càmion che se stanno a 'nculà'" scherza il solito volontario romano). A sera il trasbordo è finito, siamo tutti stanchi. Adesso gli uomini e le donne di Croce Rossa sono contenti.
"Non è importante chi li consegna" mi dice una bella infermiera volontaria "L'importante è che arrivino". E anche Beppe, adesso, è contento. Gli aiuti italiani ai "nemici" di Najaf arriveranno comunque. Il suo cuore di uomo di Croce Rossa è soddisfatto. E sulle decisioni di Roma non ha fatto il più piccolo commento.
Non verrà nemmeno la RAI: se è la Mezzaluna che consegna non c'è storia, non c'è glamour. E il ritorno è incerto, potrebbe essere un giorno, potrebbero essere sette.
[...] Peccato, forse un'occasione perduta. Ma, per commentare con le parole del solito volontario:
"Aoh, e chissenefrega nun ce lo volemo mette?"
Ghareeb, invece, gongola. Diavolo d'un uomo. Ma chi è, in realtà, il mio angelo custode?

zonker [Enzo G. Baldoni] - 21:04, ora di Baghdad

 

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