Pubblicato su Politica Domani Num 39/40 - Set/Ott 2004

Il Presidente Chávez
Autoritarismo o democrazia?
Il discusso leader venezuelano, che il recente referendum ha confermato al potere, adotta un programma di lotta alla povertà

di Fabio Antonilli

Autoritarismo sì, autoritarismo no. Si può parlare di deficit democratico in Venezuela? Il nome di Chávez è spesso legato a parole come "caudillo" oppure "dittatore comunista", quasi fosse un nuovo Pinochet o un futuro Stalin. Forse perché nel 1992 Chávez fu il protagonista di un tentativo di golpe contro il presidente Carlos Andrés Pérez, neo-liberista, dimessosi poi l'anno seguente perché coinvolto fino al collo in loschi affari di corruzione. O forse perché sin dalla sua elezione, nel 1998, ha fatto un uso smodato della decretazione (alla fine del 2003 erano stati 81 i decreti legge da lui emanati) e perché in più di una occasione ha mostrato scarsa attenzione per le attività di controllo dell'Assemblea.
Chávez non ha mai fatto mistero del suo buon rapporto con Fidel Castro con il quale condivide molte idee. Ma Chávez non è Castro. Chávez è giunto democraticamente al potere senza alcun colpo di Stato e senza che la sua elezione sia stata preceduta da una sanguinaria guerriglia. Inoltre, la sua vittoria al referendum revocatorio è stata la sua settima vittoria elettorale in sei anni, nei quali ci sono stati anche due seri tentativi di golpe (l'ultimo del gennaio 2003, quando i suoi oppositori provocarono la paralisi dell'industria petrolifera PDVSA con una serrata padronale).
Chávez non ha buoni rapporti con gli Stati Uniti, ma questo non gli impedisce di vendere il petrolio alla superpotenza. Non ha molti estimatori nella Conferenza Episcopale - in America Latina l'alto clero è stato sempre vicino agli ambienti conservatori - ma questo non gli impedisce di avere consensi tra coloro, basso clero e missionari, che credono nella funzione sociale del Vangelo.
Sin dal suo insediamento Chávez ha mostrato grande attenzione per la povertà che resta uno dei maggiori problemi del Venezuela dove l'82% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e dove il 14% della popolazione controlla il 75% della ricchezza nazionale mentre l'altro 86% deve accontentarsi del 25% che rimane. La distribuzione più equa delle risorse nazionali diventa così il primo obiettivo della politica chávista e la condizione per la sopravvivenza stessa della democrazia nel paese latinoamericano. A proposito di ciò lo studioso di politica internazionale Stefano Gatto si chiede se queste differenze "non rappresentino nella loro crudezza una vera e propria sfida al concetto di democrazia, inteso non solo nella sua accezione formale (il rispetto delle regole del gioco) ma nella sua vasta accezione sostanziale (cioè che il maggior numero di persone possibile possano trarre beneficio dal buon funzionamento dell'economia e della società)."
Il programma di Chávez cerca di andare oltre le semplici riforme di facciata per attaccare i problemi alla radice. Per esempio: portare avanti la riforma agraria, mai definitivamente completata - le terre incolte di proprietà della grande oligarchia terriera con dimensioni maggiori di 5000 ettari debbono essere divise tra più contadini -; sostenere le riforme sociali (che interessano il 70% dei 27 milioni di venezuelani), con un sistema educativo accessibile a tutti e con l'assistenza sanitaria per la quale è prevista la presenza di oltre 10 mila medici cubani anche nelle zone più impervie del paese; segnale, anche questo, della collaborazione e della vicinanza dell'ex colonnello a Fidel Castro.

1. Se assumessimo tuttavia come parametro di valutazione del "tasso di democraticità" di un paese il numero dei decreti legge e le volte in cui il Parlamento ha fatto solo da "tappezzeria" alle decisioni del Governo, dovremmo ridiscutere il sistema democratico di diversi Paesi occidentali: infatti negli Usa, in Gran Bretagna e anche in Italia, per esempio, l'elezione più o meno diretta del Capo di Governo attribuisce, di fatto, all'esecutivo un potere maggiore di quello che può esercitare il Parlamento.

 

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