Pubblicato su Politica Domani Num 37/38 - Giu/Lug 2004

Sviluppo e grandi opere
Renzo Piano, Genova e il "Waterfront"
Genova langue e invecchia. Il progetto di risistemazione del porto del grande architetto è un'occasione unica per la rinascita, non solo economica, della (una volta) gloriosa città

di Marco Vitale

Il progetto Waterfront presentato da Renzo Piano è stato definito da qualcuno: "un progetto geniale". E geniale esso lo è. Ma questa qualificazione mi sembra pericolosa. Perché può evocare qualcosa di geniale ma di astratto, di staccato dalla realtà, uno di quei colpi di genio che i grandi architetti amano esprimere, affascinati dalla bellezza delle loro idee e delle loro fantasie. A me invece, il progetto Piano è parso entusiasmante proprio perché è semplice, limpido, realistico, coerente sia con la storia che con gli sviluppi recenti di Genova. Non è un colpo di genio; è frutto di una lettura onesta, colta ed intelligente del territorio e della città e della sua storia e di una introspezione della sua forza interna che potrebbe esplodere.

Le idee chiave del progetto che mi sembrano più interessanti sono le seguenti:
- Puntiamo sul porto, puntiamo sul mare;
Se questo è sempre stato vero per Genova, è ancora più vero oggi che, grazie soprattutto a Gioia Tauro (tanto stoltamente combattuta dai genovesi) il trasporto marittimo nel Mediterraneo è stato oggetto di un grande rilancio, che è solo all'inizio (oggi l'Italia è al secondo posto in UE per quantità di merce trasportata per via marittima dopo il Regno Unito e prima dei Paesi Bassi ed al primo posto per trasporto passeggeri via mare). Ma bisogna investire in modo importante nel porto con strutture moderne e funzionali;
- Se è vero che Genova è sempre stata soffocata dalla limitatezza del territorio, e che questo è sempre stato uno dei suoi maggiori problemi, allora liberiamo parte del territorio, portando sul mare quello che si può portare sul mare.
In passato i genovesi hanno cercato di sfuggire alla limitatezza del territorio cercando di creare insediamenti oltre l'Appennino. Non sono mai stati un successo. Oggi i progressi della tecnologia e delle tecniche costruttive rendono possibile soluzioni che, in passato, erano impensabili. Perciò l'idea di portare sul mare l'aeroporto ed altre attività è più di un colpo di genio. È una cosa giusta ed oggi possibile. E dunque auspicabile.
- Genova ed il suo porto sono soffocati dal problema del traffico e dei trasporti urbani ed extra urbani, e se il porto deve ulteriormente svilupparsi questo grande collo di bottiglia va affrontato e rimosso.
Ma questo fondamentale passaggio non è possibile senza un ridisegno forte dell'intero fronte mare che risistemi le sedimentazioni storiche, secondo un piano razionale, funzionale ed attuale. Del resto, se non vado errato, questo era uno dei compiti dell'Agenzia del Piano costituita nel 1996 per sviluppare un approccio metodologico integrato dei temi urbani, portuali, trasportistici. La liberazione di aree ed il ridisegno funzionale del fronte mare sono anche propedeutici allo sviluppo di attività industriali nuove e, comunque, legate al porto, completando il disegno di sviluppo basato su attività marittime e portuali, turismo, servizi specializzati, cultura scienza e formazione, anche con una linea di reindustrializzazione.

Se questi sono i pilastri del progetto, è difficile pensare a serie obiezioni al suo disegno di fondo.
La più verosimile è che si tratta di investimenti troppo rilevanti, ancorché diluiti su 18 anni, per cui ho sentito ed ancora sentiremo il consueto: non ci sono i soldi! Ma questo l'abbiamo sentito dire per la sanità, per la scuola, per la benzina della polizia stradale, per le fotocopie del palazzo di giustizia. Nel 1869 William Seward, Segretario di Stato di Lincoln, comprò l'Alaska dalla Russia pagandola 7,5 milioni di dollari. Fu violentemente e largamente contestato dai tanti che trovavano il prezzo troppo caro ed accusavano Seward di rovinare le finanze pubbliche, tanto che si diffuse il modo di dire: "un affare alla Seward" per significare un pessimo affare. Seward fu tanto umiliato ed addolorato che, dopo poco, morì di crepacuore. Qualcosa di simile era successo quando, nel 1803, il presidente Jefferson comprò da Napoleone la Luisiana: un milione di miglia quadrate, una ricca distesa di pianure che nei decenni successivi diventeranno uno dei principali granai del mondo; il controllo di tutto il sistema fluviale della parte centrale del continente e l'importantissimo porto fluviale di New Orleans; il tutto per 15 milioni di dollari. Ma Jefferson non osò affrontare i benpensanti del Congresso e chiudendo l'operazione senza il consenso dello stesso "tese la Costituzione fino a spezzarla". Questi episodi sono uno dei migliori esempi (ma ce ne sono tanti altri) dell'assunto che il normale buonsenso economico e finanziario è non solo errato ma deleterio quando si tratta di valutare il significato economico di grandi investimenti pubblici. Siamo, in generale, portati a valutare queste operazioni con gli stessi parametri che applichiamo ai piccoli affari privati, proiettando su un arco di tempo irrealisticamente corto (20-30 anni) opere la cui durata ed i cui benefici dureranno secoli, applicandone gli effetti a poche persone mentre, in effetti, interesseranno nel tempo milioni e milioni di persone; facendo calcoli di ritorni finanziari impossibili ed improbabili mentre quello che interessa sono i ritorni economici di lungo periodo, il modo e la misura con cui queste opere e questi investimenti influenzeranno la produttività e quindi la redditività dell'intero sistema nel quale vengono calati.
Sono opere giuste o sbagliate? Sono opere la cui durata si misura in anni, decenni o secoli? Sono opere che toccano e toccheranno migliaia, centinaia di migliaia o milioni di persone? Sono opere che aumentano o diminuiscono la produttività del sistema? Sono queste le domande centrali da porsi, invece di incominciare a dire che non ci sono i soldi. I soldi non ci sono mai nel cassetto di qualunque comunità bene amministrata. Infatti non si devono trovare i soldi ma la copertura finanziaria nell'arco di tempo appropriato. Ma quando le risposte alle domande di cui sopra sono positive, allora la copertura finanziaria la si trova sempre, prevalentemente nel progetto stesso e nei suoi effetti, con un mix appropriato di fondi pubblici, di copertura di mercato, di partecipazione all'investimento di fornitori, ponendo in relazione i futuri ricavi con i rimborsi e con l'ausilio di tutti gli strumenti finanziari rapportati al mercato finanziario internazionale che è immenso; comprando insomma, il tempo, il che è l'essenza della finanza. Nel 1815 la Francia aveva i conti pubblici abbastanza in ordine mentre l'Inghilterra aveva un debito pubblico superiore al PIL. Ma l'Inghilterra aveva battuto Napoleone e si accingeva dar vita al grande secolo degli inglesi.
Naturalmente anche sotto questo profilo il progetto Piano va valutato con molta cura. Ma il lungo arco di tempo previsto per la sua realizzazione, il fatto che alcune componenti importanti sono sicuramente autofinanziabili con i proventi futuri, che alcune altre parti sono finanziabili direttamente da privati interessati, che il suo costo globale, che sembra elevato se considerato in se stesso, tale non è se lo paragoniamo ad altre grandi opere, o ad alcuni grandi sperperi che si stanno commettendo oggi in Italia nell'ambito di investimenti come l'Alta Velocità ed in alcune spese correnti, o ai grandi buchi serenamente assorbiti dal sistema bancario nazionale e internazionale. Tutto ciò permette di concludere che la quadratura economica e finanziaria del progetto appare ragionevolmente possibile.
Piuttosto la domanda più inquietante e difficile l'ha posta Vincenzo Tagliasco dell'Università di Genova su Il Secolo XIX del 27 maggio: "Piano ha prospettato una Genova meravigliosa, protesa sul mare. Tuttavia sorge spontanea la domanda: per quali abitanti, per quali categorie di persone o cittadini viene progettata Genova nuova?". A quale città si rivolge Piano? Esiste una Genova che possa prendere sul serio un progetto così sfidante?
Se si guardano le statistiche demografiche si è portati a dare una risposta negativa: i residenti in tutta la Liguria erano 1.676.281 nel censimento 1991 e sono scesi a 1.570.004 nel censimento 2001; al 31.12.2002 il comune di Genova aveva solo 604.732 residenti, e la provincia di Genova solo 873.604 residenti, mentre ne aveva 950.849 nel censimento 2001 e 1.087.973 nel censimento 1971. In Liguria gli oltre sessantacinquenni sono il 25,0% della popolazione residente contro il 18,2% della pur vecchia Italia e l'età media è di 46,6 anni contro il 41,6 dell'Italia. E mentre l'Italia con un tasso di fecondità pari all'1,24% si colloca all'ultimo posto in UE (media 1,47), la Liguria con il suo tasso dell'1,05 si colloca significativamente sotto la pessima media italiana (anche se con un piccolo e ben augurante incremento rispetto all'1,00 del 2000).
È chiaro che non è a questa Genova che si rivolge il progetto Piano, ma a una città che brucia sotto la cenere, affiorante peraltro con sempre più chiara evidenza, che vuole un forte rilancio, che sente di poterlo esprimere anche alla luce della capacità di "urban regeneration" realizzata con successo da Genova negli ultimi dieci, quindici anni, anche grazie ad una buona capacità di lavoro comune delle varie istituzioni. E poi il progetto non si rivolge solo a Genova ma, almeno, a tutto il Nord Italia.
Proporre un progetto così alla Genova degli anni '70 sarebbe stato demenziale. Ma non alla Genova di oggi, dopo il buon lavoro fatto negli ultimi quindici anni. Ecco perché è essenziale calare questo progetto in tutto quello che di buono è stato fatto negli ultimi anni, nelle tante "acrobazie" della storia genovese e nelle grandi possibilità del futuro. Il progetto si rivolge ad una Genova che non c'è ancora in modo compiuto, ma per la quale esistono solide tracce e fondamenta ed un buon inizio, una città che, ricuperato un rapporto ed una proiezione positiva con il suo mare ed il suo porto, sta scoprendo di trovarsi all'incrocio di forti tendenze vincenti per il prossimo futuro: traffici marittimi, turismo, cultura, scienza e informazione, industrie qualificate. È a questa città in formazione, chiamata ad una nuova "acrobazia", che si rivolge il progetto-sfida di Piano.
Certo molte altre cose andranno fatte, certo tanti nuovi collegamenti andranno allacciati, certo la collaborazione con Milano e Torino andrà rafforzata in un rinnovato triangolo. Allora i giovani resteranno e si sposeranno a Genova ed altri giovani di qualità verranno da altre parti del mondo ed anche gli indici demografici pian piano si invertiranno. Nei grandi progetti non bisogna mai pretendere che tutto sia a posto prima di partire. Basta essere ragionevolmente certi che la rotta è giusta e crederci, come Cristoforo Colombo. Come ha scritto Saint-Exùpery (Vol de nuit) in un passo che ho sempre amato anche perché tante volte ne ho verificato la profonda verità: "Dans la vie, il n'y a pas des solutions. Il faut les créer et les solutions suivent".

 

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