Pubblicato su Politica Domani Num 37/38 - Giu/Lug 2004

Strategie
La guerra preventiva dai Romani agli Americani
Le remote radici della strategia politica e militare statunitense

di Alberto Foresi

Guerra preventiva, è questa la strategia Usa che si è progressivamente sviluppata soprattutto in conseguenza dell'attacco alle Twin Towers di New York.
In cosa consiste tale strategia? La guerra preventiva si configura quale un attacco ad uno Stato straniero che è manifestamente ostile verso un altro Stato e costituisce un concreto pericolo in grado di arrecare, in caso di attacco a sorpresa, danni talmente gravi da rendere giustificabile un'azione preventiva volta a neutralizzare la minaccia. Perché il concetto di guerra preventiva sia applicabile occorre che il potenziale offensivo fra le due nazioni sia chiaramente diverso: non era infatti applicabile, nonostante taluni lo propugnassero, nella contrapposizione fra i blocchi orientale e occidentale della guerra fredda, in quanto nessun attacco a sorpresa poteva garantire la neutralizzazione del potenziale offensivo avversario, esponendo pertanto colui che avesse iniziato le ostilità all'immediata rappresaglia nucleare della controparte. Si realizzava così un equilibrio fondato sul timore reciproco che, morale a parte, ha garantito al mondo occidentale uno dei più lunghi periodi di pace della sua storia.
Il concetto di guerra preventiva (a differenza di quella difensiva, cioè non voluta ma intrapresa in quanto costretti), suscita problemi di ordine etico e politico. Prima di tutto è lecito, per evitare un male peggiore, iniziare un conflitto? E poi, come valutare se la minaccia è reale o solamente supposta? Il concetto giuridico di diritto personale alla legittima difesa, applicato in un contesto più vasto, è legittimo anche in modo preventivo, ma solo quando ci sia una reale minaccia alla propria sopravvivenza.
Sono proprio questi i problemi suscitati dal conflitto Usa-Iraq. Due nazioni dal potenziale bellico sicuramente non paragonabile, in cui la più debole, in uno scenario di guerra non convenzionale - leggasi terrorismo - utilizzando ordigni nucleari, biologici o chimici, poteva arrecare ingenti danni materiali e soprattutto umani alla più forte. In tale situazione, la conquista e l'occupazione dell'Iraq avrebbero potuto trovare una giustificazione accettabile. Un po' come accadde nel marzo '81, allorché gli Israeliani distrussero con un raid aereo una centrale nucleare irachena per evitare che si costruissero ordigni nucleari tali da porre lo stato d'Israele in grave pericolo. Solo che, a quanto sembra, la situazione irachena degli ultimi anni era ben distante dal costituire una minaccia per gli Stati Uniti e, più in generale, per l'Occidente. Le armi di distruzioni di massa non sono state trovate - e dobbiamo riconoscere l'onestà dei conquistatori che non le hanno portate per costituire a tavolino una falsa prova - né esistevano legami concreti tra il regime iracheno e i gruppi terroristici del fondamentalismo islamico. Saddam Hussein, oltre ad essere riuscito a dare unità ad una nazione poliedrica dal punto di vista etnico e religioso, aveva saputo creare nel mondo arabo uno stato laico, in cui le frange integraliste erano represse in modo violento.
Politica e morale sono certamente due ambiti distinti (Machiavelli, XVI secolo), tuttavia, in questo caso, la politica cerca una giustificazione etica sostenendo la giustezza della guerra intrapresa. Una guerra preventiva trova giustificazione solo di fronte ad un reale pericolo; altrimenti sarebbe possibile giustificare anche lo sterminio del popolo ebraico, dal momento che l'ideologia nazista vedeva in tale popolo una minaccia per la Germania. Oppure dovremmo approvare la politica israeliana degli ultimi anni, mirante al conflitto permanente con il popolo palestinese ed alla continua rappresaglia. Poco importa se in tali azioni rimangono uccisi civili o bambini: il bambino ucciso oggi non è altro che un terrorista di meno domani.
Morale a parte, quando s'inizia una guerra, preventiva o meno, bisogna anche saperla vincere, altrimenti si perde. E di questo erano ben consci i Romani nostri antenati, i quali sapevano vincere e gestire le proprie vittorie, a differenza degli Americani.
La guerra preventiva non è un'invenzione degli Americani. Buona parte delle guerre iniziate (e vinte) dai Romani furono guerre preventive: le guerre contro le popolazioni italiche, in età repubblicana, per prevenire la reazione di queste, che non gradivano la politica espansionista romana. In particolare nella terza guerra punica - forse il primo esempio di guerra preventiva pianificata razionalmente in Occidente - Cartagine, dopo la sconfitta di Annibale, non costituiva ormai alcun pericolo per Roma; tuttavia il Senato, sotto la pressione di Marco Porcio Catone, decretò nel 146 a.C. la conquista e la distruzione della città, in modo da prevenire ogni ulteriore minaccia e, al contempo, dare prova a tutto il mondo della forza e della determinazione di Roma.
La modernità della strategia politica e militare romana sta anche nel fatto che Roma garantiva ai popoli sottomessi libertà e prosperità, ma non tollerava alcuna opposizione al suo potere. La strategia tipica della politica romana era intromettersi nelle vicende delle altre nazioni, aiutarle a scongiurare un pericolo esterno ed inserirle, di fatto, successivamente nella propria sfera di potere. Questa prassi è stata più volte ripresa dagli Americani dopo la II guerra mondiale.
I Romani misero piede nel mondo greco intervenendo, nel 200 a.C., in difesa di Rodi e di Pergamo contro le mire espansioniste del re di Macedonia Filippo V. E, nel 196 a.C. il console Tito Quinzio Flaminino, dopo aver sconfitto l'anno prima le armate macedoni a Cinoscefale, in occasione dei giochi istmici proclamò solennemente a Corinto che Roma aveva restituito la libertà e l'indipendenza alle città greche. Da quel momento la loro difesa venne assunta costantemente dai Romani, i quali, pur preservando la libertà interna delle città, diressero la loro politica estera. L'altra faccia della libertà romana si vide ben presto, con la sconfitta nel 168 a.C. della lega achea - che mal tollerava la pesante ingerenza romana nella regione - e con la distruzione e il saccheggio di Corinto nel 146 a.C.
I parallelismi tra Roma egli Stati Uniti non devono essere intesi come puramente casuali: Edward Luttwak, da tempo consigliere del Dipartimento di Stato, è anche autore di un importante studio sull'apparato militare romano e sul suo uso in ambito offensivo e dissuasivo.
La politica romana era di fatto espansionista, la prima forma pianificata e duratura di espansionismo del mondo occidentale. La conquista di nuovi territori garantiva ricchezza e sicurezza, allargando i confini Romani e scongiurando così ogni minaccia verso il cuore dell'Impero. A partire da Adriano si ferma il processo espansionista di Roma e comincia una lenta e all'inizio poco percepibile decadenza. Conscio di ciò l'imperatore Aureliano nel 274 fece costruire una nuova cinta muraria intorno a Roma, per evitare che una spedizione nemica potesse giungere sino alle porte della capitale.
Allora come oggi sembra non esistano periodi statici nella vita delle nazioni, ma solo fasi alterne di espansione e di regresso. Tuttavia la storia non è la politica. La prima riflette e spiega il passato; la seconda pianifica il presente e progetta il futuro. L'età che si prospetta all'orizzonte appare oscura e pregna di luttuosi presagi, ma, al di là delle emozioni, non v'è certezza.

 

Homepage

 

   
Num 37/38 Giu/Lug 2004 | politicadomani.it