Pubblicato su Politica Domani Num 37/38 - Giu/Lug 2004

Unione Europea
L'Europa del futuro, forte e "gentile"
Intervista al prof. Marco Vitale

Si conclude qui l'intervista "quasi immaginaria" al Prof. Marco Vitale. La prima parte è stata pubblicata sullo scorso numero (PD n.36, maggio 2004).

EUROPA E USA
Nel recente viaggio di Bush in Europa tutti i capi di stato europei si sono stretti attorno al Presidente americano. La gratitudine per il passato non ha cancellato però le divergenze del presente. Qual'è, secondo lei, la differenza fondamentale fra l'Europa e gli USA?

La stretta collaborazione tra USA ed Europa è stata un tratto caratteristico degli ultimi decenni. Nessuno auspica o pensa che questa vicinanza di fondo possa o debba rompersi. Ma essa sarà molto più burrascosa che nel passato, per motivi oggettivi. L'Europa ha tante cose e tanti valori in comune con gli USA ma non coincide e non è totalmente subordinata agli USA come i neconservatori americani vorrebbero e come alcuni "gauleiter" europei cercano di realizzare. Come afferma Kagan, nel suo lucidissimo e crudo "Paradiso e potere", gli USA sono condannati a perseguire il ruolo di iperpotenza militare e tecnologica ed a guidare il mondo con la forza in un crudo approccio hobbesiano mentre l'Europa, sotto lo scudo difensivo della Nato, può coltivare il suo paradiso di un approccio kantiano basato sulla ragione, sulla tolleranza, sulla pace. Nelle parole di Kagan non manca un certo senso di scherno e di disprezzo verso quest'Europa gentile ed un po' effeminata, in un significato non dissimile dalla parola usata da Ramsfeld quando, nella guerra con l'Iraq, parlava di una "vecchia Europa", che non vuole prendersi impegni coraggiosi. Ma anche se questo tono può dare fastidio, esso aiuta a capire la realtà. Dice Kagan: "I leader americani credono che la sicurezza globale e l'ordine liberale - insieme al paradiso "postmoderno" dell'Europa - non sopravviveranno a lungo se gli Stati Uniti non useranno il loro potere nel mondo pericoloso hobbesiano che ancora si agita al di fuori dell'Europa. In conclusione, gli Stati Uniti, benché abbiano svolto un ruolo fondamentale nel condurre l'Europa dentro il suo paradiso kantiano, e ancora lo svolgano nel renderlo possibile, non possono varcare la soglia dell'Eden. Essi restano, con tutta la loro enorme potenza, impigliati nella storia, a vedersela con i Saddam e gli ayatollah, con i Kim Jing II e gli Jian Zenin, lasciando agli altri la maggior parte dei benefici".

LA FORZA MILITARE
La scena mondiale è da tempo devastata da guerre. Non crede che sulla scena mondiale sarebbe auspicabile un'Europa militarmente più forte?

Vede, Kagan afferma che gli USA "a volte devono agire unilateralmente, non perché abbiano la passione dell'unilateralismo, ma perché, con un'Europa debole, che ha rinunciato alla politica di potenza, non hanno altra scelta se non agire unilateralmente". È vero che l'Europa ha rinunciato alla politica di potenza, ma credo che questo, piuttosto che un male, sia una speranza per l'intera umanità, l'indicazione di una via possibile. È vero che l'Europa è militarmente debole. Ma l'essere militarmente deboli non autorizza a parlare semplicemente di un'Europa debole in generale.
Vi è il rischio che Kagan e i neconservatori americani commettano qui un errore di prospettiva analogo a quello che commise Stalin quando sprezzantemente chiese su quante divisioni poteva contare il pontefice. E poi verso quali ipotetici nemici indirizzerebbe le sue ipotetiche armate l'Unione Europea? Chi preme alle sue frontiere? Quali territori deve conquistare? I grandi nemici del mondo in questa fase storica si chiamano terrorismo, fondamentalismo islamico, miseria ed esclusione dai diritti fondamentali di miliardi di persone, globalizzazione non equa e non governata, squilibrio tra crescita economica e ambiente. Siamo sicuri che il contributo dell'Europa al mondo su questi temi sarebbe più utile se anch'essa congelasse il 3-4% o sino al 7% (come in passato hanno fatto gli USA) del PIL per aspirare a diventare una potenza militare? Il terrorismo e gli altri mali elencati si affrontano meglio con mezzi diversi dagli elicotteri apache e dai missili. Tuttavia una forza militare europea è comunque necessaria, e quindi un po' di spese militari dovranno essere messe in conto nel bilancio dell'Unione. Non per avviare una politica di potenza, per scimmiottare gli Stati Uniti, non per nutrire l'ambizione di gestire o intervenire negli affari del mondo intero, ma per esercitare una "potenza tranquilla" in relazione ad obiettivi limitati, sostanzialmente di "peace keeping" di antiterrorismo con unità superspecializzate ed una great intelligence europea, e di interventi nelle grandi calamità naturali.
Ho molto apprezzato che l'articolo tre del Trattato di Costituzione, obiettivi dell'Unione, inizi con queste parole: "L'unione si prefigge di promuovere la pace". Poiché la pace è indivisibile e non si può fermare ai confini dell'Unione, noi dobbiamo dire ai giovani che siamo orgogliosi di appartenere ad un'Unione che si prefigge questo come suo obiettivo primario e dobbiamo incitarli a prodigarsi affinché questo grande obiettivo che la nostra generazione ha realizzato nell'interno dell'Unione, dopo secoli di sanguinose guerre, venga portato anche fuori dall'Unione ed in primo luogo nei vicini paesi dei Balcani, del Medio oriente, dell'Africa. Anche la buona economia dipenderà dal perseguimento di questo obiettivo primario.
Per il resto il contributo maggiore alla pace l'Europa può darlo con il suo esempio di forza gentile, come ha testimoniato John Hume, premio Nobel per la pace 1998 affermando che il ristabilimento della pace in Irlanda del Nord è stato possibile applicando i principi ricevuti dall'esperienza comunitaria.

COLMARE LE DIVERSITÀ
Quali saranno, secondo lei, oltre all'impegno militare, le differenze più profonde fra l'Europa e gli Stati Uniti? E sarà possibile colmare queste diversità?

Vi sono due temi di natura economica in relazione ai quali dobbiamo prepararci a serie divergenze di visione e di impostazione con gli USA. Il primo è lo stesso concetto di sviluppo. Nessun presidente degli USA, rappresentante di un paese dove la competizione più esasperata è legge, potrebbe firmare l'articolo tre del Trattato di Costituzione europea con il suo riferimento esplicito all' "economia sociale di mercato", una categoria estranea alla cultura americana. Anche in questo campo dobbiamo smetterla di scimmiottare gli USA, di porci l'obiettivo di colmare il "gap" con gli USA. Dobbiamo disegnare il nostro sviluppo, con i nostri ritmi, con la nostra qualità di vita, con i nostri obiettivi. Il secondo tema è legato all'Euro. Il successo dell'Euro ed il suo emergere come seconda moneta di riserva a livello mondiale, creerà inevitabili tensioni ed anche momenti di conflitto con gli USA, abituati da decenni a vedere il mondo retto solo dal dollaro, "our money and your problem", secondo la ormai famosa definizione di un ministro americano. Queste divergenze potranno restare nei limiti di una costruttiva, anche se sofferta, dialettica, e potranno anche attenuarsi. Ma sono la realtà del nuovo mondo ed al tempo stesso una delle sfide per la nuova Europa.
Quanto al superamento delle diversità, Sono d'accordo con quanto dice Kagan: "Il divario fra la visione del mondo americano e la visione europea potrebbe rivelarsi meno incolmabile di quanto non appaia ora. Non è detto che debba esserci uno "scontro di civiltà" all'interno di quello che fino a poco tempo fa veniva chiamato l"Occidente". Ciò che occorre da entrambe le parti, è un riaggiustamento alla nuova realtà dell'egemonia statunitense. E, forse, come dicono gli psichiatri, il primo passo verso la soluzione del problema è riconoscere in che cosa consiste". L'egemonia, soprattutto militare, americana va capita accettata ed interiorizzata. Ma pur prendendo atto di questo contrasto tra "un'America giovane, esuberante e multietnica e un'Europa vecchia, decrepita ed introversa" (come dice l'Economist del 22 agosto 2002), i falchi americani devono ripiegare e porre nel cassetto il sogno che fu di Franklin Delano Roosvelt "di rendere l'Europa irrilevante sul piano strategico". L'Europa potrà essere ed auguriamoci che continui ad esserlo, militarmente irrilevante. Ma non sarà mai irrilevante sul piano economico, culturale e strategico. Troppa esperienza e troppa storia del mondo sono accumulate nel suo spazio. E del resto il mondo ha bisogno sia dell'iperpotenza egemone statunitense, sia della forza gentile dell'Europa. Importante è che l'uno non cerchi di scimmiottare l'altro, ma che ognuno porti i suoi doni veri e genuini.

AVANZARE A PICCOLI PASSI
A molti, che auspicano un'Europa veramente unita, il Trattato di Costituzione del 18 giugno è sembrato molto debole. Condivide questa posizione?

Per affrontare le nuove sfide e cogliere le nuove opportunità l'Unione Europea non deve stravolgere le istituzioni attuali né il metodo graduale sino ad ora seguito. Il Trattato di Costituzione approvato è più che sufficiente per far fare all'Unione un passo avanti, per consolidare quanto sin qui fatto, per evitare che l'allargamento porti ad una diluizione della sua essenza, e la trasformi in una sorta di zona di libero scambio o, peggio, in un'armata brancaleone senza principi ed obiettivi comuni, senza bussola.

ECONOMIA E FINANZE
Nonostante le difficoltà un traguardo è stato felicemente raggiunto: l'euro. Come è possibile difendere e consolidare questo risultato? Sarebbe auspicabile, secondo lei, un grande bilancio unico dell'UE?

Io non credo che l'Unione Europea abbia bisogno di un grande bilancio generale, che sarebbe anzi una iattura, un fattore di centralismo e di irrigidimento burocratico. La strumentazione economica dell'Unione Europea è più che sufficiente: moneta unica; sistema europeo di banche centrali facenti capo alla Banca Centrale Europea; politica di bilanci realizzata indirettamente attraverso i parametri del patto di stabilità; rigorosa tutela delle quattro libertà, della concorrenza e dell'economia imprenditoriale. Poche le modifiche che auspicherei: un'unica autorità antitrust a livello continentale; un'unica autorità di vigilanza sul sistema bancario a livello continentale; un rafforzamento moderato del bilancio esclusivamente per fronteggiare le esigenze della limitata forza unitaria di difesa, per sostenere la politica estera comune e per realizzare una politica di cooperazione più forte nei confronti dei paesi in via di sviluppo; un'imposta sugli affari di facile esazione prelevata direttamente dall'Unione.

UN'EUROPA PLURICENTRICA
Molti temono che nell'Europa a 25 le differenze fra il primo nucleo e i nuovi paesi membri, specie quelli più svantaggiati e, forse, meno maturi, potrebbero frenare la crescita dell'UE. Come, secondo lei, si potrebbero garantire tutti senza sacrificare nessuno?

La complessità del processo di ampliamento dell'Unione, la disomogeneità tra il nucleo storico e molti paesi aspiranti all'ingresso e tra gli stessi, rendono indispensabile una progettazione del processo di integrazione più duttile, articolato e flessibile che in passato. Todorov parla di un'Europa non a velocità diverse, ma a diversi centri concentrici. Nel primo cerchio entrerebbero gli Stati fondatori dell'Unione (Francia, Germania, Italia, Benelux) legati tra loro da un patto federativo più stringente che copra anche gli auspicabili sviluppi unitari in materia di sicurezza e relazioni con i paesi extra-europei. Il secondo cerchio concentrico radunerebbe i paesi ammessi nell'Unione europea nella sua forma attuale: un insieme di venticinque e, forse, sino a trentacinque paesi. I criteri di appartenenza a questo cerchio sarebbero un certo livello di sviluppo economico, un regime di democrazia liberale, un certo livello di garanzia giuridica, ma non sarebbe necessaria né la moneta comune, né i trattati comuni in tema di sicurezza e politica estera. Che in uno di questi paesi la religione dominante sia l'islam non è un ostacolo. Ciò che conta oggi in Europa non è il cristianesimo, ma il laicismo, dono, in parte, del cristianesimo. Il terzo cerchio sarebbe rappresentato dai paesi limitrofi, o, comunque, rientranti nella diretta sfera di influenza dell'Unione, per i quali il suo esempio, il suo metodo di lavoro, i suoi principi, più che i suoi aiuti finanziari, potrebbero essere preziosi.

UNA LINGUA COMUNE
Comunicare, nell'Europa a 25 sta diventando difficile e costoso. Cosa pensa di una possibile lingua comune?

Todorov afferma che con una lingua unica di lavoro l'Europa sarebbe un'istituzione molto più efficace, proposta che dispiace ai nazionalisti ma è dettata dal buon senso. " ... non si tratta di una novità radicale: nel medioevo, infatti, esisteva un'Europa delle élite grazie alla possibilità di comunicare in latino e al di là delle frontiere. Oggi una sola lingua può svolgersi questo ruolo: quella che io chiamo "inglese internazionale". Non è la lingua di Shakespeare o di Henry James. È quella che parlano, per farsi capire, tutti gli europei quando si recano nella maggior parte dei paesi del mondo fuori dal proprio. È quella che usano tra loro gli scienziati di tutti i paesi se vogliono conoscere l'evoluzione della propria disciplina. È quella con cui comunicano i giovani di un paese europeo quando sono in viaggio nei paesi limitrofi. Suppongo che sia perfino quella dei funzionari europei quando i microfoni sono spenti. Bisogna avere il coraggio di ammettere uno stato di fatto".
Io trovo utile, certamente anche per l'economia la proposta di Todorov. Se proprio si vuole, si può conservare anche il francese come fattore storico-sentimentale. Ma non di più.

iL'intervento di Marco Vitale, sul tema della Costituzione europea, si riferisce a un incontro-dibattito tenuto a Castel Goffredo il 26 marzo 2004 per il premio Acerbi 2003, assegnato a Tommaso Padoa Schioppa per il libro "Europa, forza gentile".
iiJohn Hume nel suo discorso di accettazione del premio Nobel ad Oslo individua nel suo lavoro per la pace in Irlanda tre insegnamenti fondamentali derivati dalla sua esperienza in Europa: il riconoscimento della diversità come essenza e ricchezza dell'umanità e quindi il rispetto per le diversità; la creazione di istituzioni che promuovono il rispetto delle diversità; il lavorare insieme per conseguire concreti interessi comuni.

 

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Num 37/38 Giu/Lug 2004 | politicadomani.it