Pubblicato su Politica Domani Num 37/38 - Giu/Lug 2004

Editoriale
Esami di "maturità"

di Maria Mezzina

12 luglio, i miei esami di maturità sono terminati e sono in vacanza dalla scuola. Anni fa ero ancora in piena attività. Sono un'insegnante a cui è rimasta intatta la voglia di confrontarsi con il mondo della cultura e quello dei giovani, grazie, forse, ad una lunga pausa all'estero, una specie di periodo sabatico prolungato. Per me la scelta del "docere" è stata netta, chiarissima fin dai primi anni di università, ed è rimasta tale anche in seguito. Ero, al passato, perché gli esami cominciavano a luglio e si prolungavano per tutto il mese, lontano da casa. Una fatica. Di solito il lavoro in periodo di esame inizia alle 8 e termina alle 16, quando non si prolunga per qualche problema, per qualche incomprensione, per incapacità di trovare un accordo, o per tutte queste ragioni insieme. Se il lavoro è fatto bene, con scrupolosità e con coscienza, rimane poco tempo per fare "altro" come, per esempio, godere la città nella quale - in passato - si era stati mandati in missione.
Catapultati per la prima volta di fronte a una commissione di professori tutti sconosciuti a mostrare oltre che la propria preparazione i veri se stessi - come nudi - con i propri limiti e le proprie abilità (quante volte istrioniche!), l'esame era una fatica e una tensione soprattutto per gli studenti. Una dose massiccia di vita reale, dopo tanti anni passati in una scuola che si proietta, e giustamente, nella vita dei ragazzi come un prolungamento della famiglia e degli amici. Una "sferzata" salutare che lasciava il segno.
Poi è calata sulla scuola la scure dei tagli alle spese dello Stato: i primi ad essere colpiti sono stati proprio gli esami di maturità; uno spreco incredibile di danaro che se ne andava, per il 90%, in spese di viaggi, alberghi e ristoranti. Invece che razionalizzare la spesa dei commissari d'esame, ai piani alti dell'allora MPI hanno deciso di razionalizzare la commissione riducendo il numero dei commissari. È iniziato così l'esperimento delle quattro materie con quattro commissari più un presidente (lo stesso per due commissioni). Un esperimento durato trent'anni e finalmente abbandonato, quando ormai la formula del 2+2 - due materie "scelte" dalla commissione e due scelte dal candidato - aveva ridotto l'esame a poco meno che una farsa.
Ma come ridare dignità ad una prova caduta tanto in basso con i pochi (sempre di meno) spiccioli messi a disposizione del Ministero? Da tre anni gli esami di fine ciclo - "maturità" è un termine divenuto, giustamente, improprio (ma questa è un'altra storia) - sono cambiati ancora. Si risponde su tutte le materie e la commissione è tutta interna; solo il Presidente è esterno e ce n'è uno per ogni scuola: un preside o un docente o un funzionario del Ministero, spesso persone di grande spessore professionale e umano sacrificate a fare da arbitri in piccole (e a volte feroci) contese fra i docenti e da notai a garanzia del rispetto delle regole, spesso solo formali. A parte l'ulteriore innegabile risparmio economico di un Ministero le cui disponibilità sono ridotte al lumicino, il risultato di tutto ciò in termini di esperienza professionale dei docenti-commissari e degli studenti-candidati, a mio parere, non è esaltante, anzi direi che è fallimentare. Innanzi tutto viene negata al docente qualsiasi occasione di confronto. Un confronto che personalmente ho sempre trovato molto stimolante e da cui sono sempre uscita arricchita. Gli insegnanti, per come è organizzato il lavoro docente, si trovano a vivere in un mondo attorno al quale loro stessi costruiscono mura impenetrabili: chiusa la porta dell'aula, da quel momento la classe diventa il loro impero sul quale vige il principio dell'autorità assoluta, temperata solo dalla personalità del docente. E non potrebbe essere altrimenti: è infatti questo il principio a cui mi appello scherzando (ma non troppo) con i miei alunni ogni volta che è necessario. Pochi e fugaci sono i momenti di confronto con i colleghi: la ricreazione, i cambi dell'ora. Anche nelle riunioni si è privilegiato il criterio della collegialità esteso a tutte le classi o a tutte le sezioni per classi parallele o all'intero istituto, piuttosto che il criterio dell'incontro e della progettazione di percorsi comuni per singole classi.
Avere eliminato dalla vita del docente la possibilità di confrontarsi con altri docenti "sconosciuti" equivale ad avere murato in un edificio tutte la finestre che danno sull'esterno. Le conseguenze sono la ripetitività, la chiusura intellettuale, la disabitudine al dialogo e alla mediazione, l'insofferenza. Costringere inoltre gli alunni a confrontarsi con gli stessi insegnanti che, conoscendoli spesso da anni, possono aver formato su di loro un giudizio preconcetto significa impedire da una parte che l'esame di maturità sia la prima vera, importante esperienza di vita dei giovani, dall'altra che siano giudicati per quello che sono. Con la preparazione culturale infatti altri aspetti della personalità del giovane - timidezza, emotività, simpatia, sfrontatezza, istrionismo - entreranno nel gioco degli esami della vita, quelli veri, quelli che, come diceva Eduardo, "non finiscono mai".

 

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