Pubblicato su Politica Domani Num 36 - Maggio 2004

I trucchi del cinema
La più grande beffa
Cento anni di carriera e di successi segnati da "invenzioni", spesso artigianali, che hanno creato autentici capolavori

di Luca Di Giovanni

"La più grande beffa del diavolo è stata convincere il mondo che lui non esiste". Chi ha avuto la fortuna di vedere "I Soliti Sospetti" sa di cosa parlo. Il noir più bello degli anni '90, (insieme a "Le Iene" e a "Seven") è un film contorto, sadico, semplicemente geniale. Racchiude in un'ora e quaranta un tema centrale nella storia del cinema: l'inganno, la menzogna. Il racconto è bugia, l'immagine si fa beffa dello spettatore, che tende a credere a tutto ciò che vede. Un film che sorprende, elude e ribalta le aspettative del pubblico, che tiene in pugno per tutta la durata della storia per poi assestare il colpo decisivo nel finale-shock, tra i più belli della storia del cinema.
Su questa filosofia la macchina-cinema ha costruito più di cent'anni di onorata carriera, elevandosi al rango di arte e segnando l'immaginario collettivo con dei film-modello.
La storia del cinema è la storia dei trucchi del cinema, degli ingegnosi espedienti elaborati per creare l'illusione della realtà, per far sembrare vere e credibili delle finzioni. Poiché sullo schermo tutto è possibile (e poiché tutto, ormai, è stato già raccontato e visto, come qualcuno ha insinuato) non stupisca la forte ondata di remake, sequel, rifacimenti di vecchi film, che rappresenta il filone più redditizio del cinema contemporaneo, le innumerevoli riproposizioni di romanzi, film, fumetti classici aggiornati alle nuove tecnologie digitali, in nuove sfavillanti ed ultra-spettacolari versioni pensate per un pubblico giovane, cresciuto nell'era del computer e della playstation.
Nel corso della sua storia il mezzo cinematografico si è dimostrato molto duttile, quasi camaleontico, sempre capace di adattarsi ai tempi e alle nuove esigenze della tecnologia (il sonoro negli anni '30, il technicolor nei '40, il formato scope nei '50, le nuove attrezzature leggere nei '60, la computer grafica e la rivoluzione digitale di fine secolo), e di convivere con gli altri mezzi di comunicazione (la radio, la televisione, il pc); l'era del passaggio dall'analogico al digitale ha segnato quindi una radicale trasformazione anche nell'approccio alla creazione dei film.
I trucchi artigianali di cui si serviva il cinema (gli schizzi di sangue, le teste e gli arti mozzati dei film di Dario Argento, il vomito verde di Linda Blair ne "L'Esorcista", i mostri degli horror di Roger Corman), che visti oggi possono sembrare innocui, naif, addirittura ridicoli, venivano nascosti, occultati, rimanevano perlopiù segreti, nella migliore tradizione teatrale; oggi invece ostentare le sofisticate e innovative tecniche di animazione digitale ("Matrix", le coreografie di "La Tigre e il Dragone", le tempeste di "Master and Commander"), o elencare i costosissimi procedimenti di ricostruzione al computer di intere scene (l'antica Roma de "Il Gladiatore") fa parte delle strategie di mercato dei pubblicitari. Questo ci permette oggi di andare a vedere "The Passion" di Mel Gibson già consapevoli che nelle scene più cruente è stato usato un sofisticato robot nel ruolo di Cristo morente, quasi a rassicurarci che nessun attore è stato sacrificato, anche se la causa era nobile, in nome della veridicità della (sacra) rappresentazione.
Oggi un cinefilo romantico non può non ricordare senza un filo di nostalgia i barboni che volano sulle scope in "Miracolo a Milano"; i fondali palesemente finti delle scene d'azione girate in studio col blue screen dei film di Hitchcock (uno che per girare "Gli Uccelli" fece ammaestrare centinaia di veri corvi e gabbiani dal grande Ray Berwick, e sottopose ad uno stress indicibile per due mesi i suoi collaboratori, tanto che quasi ogni giorno un membro della troupe doveva ricorrere a cure ospedaliere per gli attacchi dei pennuti, tanto che la protagonista Tippi Hedren ebbe un esaurimento nervoso); la straordinaria metamorfosi in diretta, senza stacchi di montaggio, dell'uomo lupo, grazie a protesi in latex e manichini meccanici in "Un Lupo Mannaro Americano a Londra" del 1981; i modellini delle astronavi di "Guerre Stellari"; la maschera di Boris Karloff in "Frankenstein", stupefacente se pensiamo che era il 1931 (anno in cui uscì "Freaks", capolavoro dell'orrore senza trucchi, interpretato da veri "mostri", creature deformi, nani, gemelli siamesi, uomini-torso), e quella più moderna ma altrettanto stupefacente di John Hurt "The Elephant Man" del 1980, che sul set si sottoponeva al trucco per sette ore al giorno; l'indimenticabile E.T., disegnato e costruito da Carlo Rambaldi (e fatto muovere, in alcune scene, da un nano nascosto al suo interno); le pedane e le zeppe di venti centimetri (mai inquadrate, ovviamente) che sopperivano alla mancanza di centimetri di qualche divo dell'era classica (l'eroe western Alan Ladd, che non arrivava a montare il cavallo, e il mitico Humprey Bogart, troppo basso per baciare senza impaccio Ingrid Bergman); l'incredibile record di "The Blues Brothers", durante le riprese del quale furono distrutte centinaia di macchine vere per girare le scene di inseguimento!
Nell'epoca del computer tutto è più facile e meno faticoso, e un po' dispiace vedere le nuove versioni di "King Kong" e di "Il Pianeta delle Scimmie" come un trionfo di effetti speciali, e ci viene da rimpiangere le bellissime scenografie di "Blade Runner" e le 300mila comparse di "Gandhi"; ma i tempi sono cambiati, e usata in modo intelligente (cioè non abusata) la computer grafica si è dimostrata miracolosa nell'apportare una nuova gioventù al mezzo: meno locations, meno comparse, tempi ridotti, costi ridotti. In fondo i capolavori di animazione digitale della Pixar non ci fanno rimpiangere "Chi ha Incastrato Roger Rabbit", e c'è ancora qualche maestro che impone la costruzione di set stratosferici (Scorsese per "Gangs of New York", Cameron per "Titanic"), cedendo il meno possibile alle lusinghe digitali. E poi, diciamoci la verità, i veri effetti speciali del cinema sono gli attori (parlo di De Niro che ingrassa 30 chili per "Toro Scatenato", non della Kidman che si fa appiccicare un naso finto per vincere l'Oscar in "The Hours"…), che non smetteranno mai di stupirci e di ricordarci che il cinema è fatto dagli uomini.
E poi, per lo meno, grazie alla tecnologia si può girare un film sull'Olocausto ricostruendo le macerie (se mi passate l'ossimoro) al computer (la Varsavia devastata de "Il Pianista"), augurandoci che "Germania Anno Zero" di Rossellini resti irripetibile.

 

I minori, i media e l'Europa

Il Consiglio Europeo, in un libro verde (Protezione dei minori e della dignità umana negli audiovisivi) ha emesso raccomandazioni e sta facendo rilevamenti sui media e i minori.
Ecco alcune delle raccomandazioni, che dovranno essere accolte nei regolamenti nazionali correnti:
- il richiamo ai direttori di radio e televisioni alla loro responsabilità nei confronti dei minori (Carta di Treviso per gli operatori dei media italiani);
- per i genitori, la sperimentazione di nuovi metodi di controllo digitale (come codici personali, programmi-filtro, e circuiti integrati):
- per i provider di servizi Internet, lo sviluppo di chiari codici di buona condotta in linea con i regolamenti nazionali.
Si raccomandano: il coinvolgimento di tutte le parti interessate - governo, industria, provider di servizi di accesso, associazioni di utenti - nella produzione di codici di condotta; la realizzazione dei codici da parte delle industrie; la valutazione delle misure adottate.

 

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