Pubblicato su Politica Domani Num 36 - Maggio 2004

Diritti fondamentali nella UE
Il lavoro nella Costituzione europea
Diritto al lavoro o diritto di lavorare? Uno dei nodi che devono ancora essere risolti

di Fabio Antonilli

Dopo vari incontri intergovernativi, nel mese di dicembre il suggello sembrava vicino: l'Unione Europea era ad un passo dall'avere la sua Costituzione. Il veto di Spagna e Polonia è stato però determinante, visto che era richiesta l'unanimità dei consensi, per far fallire il piano di Berlusconi di condurre i Capi di Governo europei alla storica firma proprio sul finire del semestre di presidenza italiana. Tra mille affanni, ansioso di portare a casa un risultato prestigioso, nonostante l'ottimismo ostentato fino all'ultimo momento, il presidente di turno della UE non è riuscito a raggiungere il tanto ambito obiettivo. Così, oggi, quel documento è ancora lì, nei cassetti del Parlamento Europeo in attesa di essere approvato.
Quattro sono le parti in cui è divisa la futura Costituzione Europea. La prima e la quarta stabiliscono rispettivamente gli assetti istituzionali dell'Unione e le "disposizioni generali e finali". La seconda e la terza definiscono i diritti fondamentali - recepiti dalla Carta di Nizza - e le politiche che l'Unione si propone di perseguire. Proprio qui sono enunciati i più importanti diritti dei lavoratori che, nell'ultimo periodo, hanno suscitato non poche discussioni. A giudizio di molti sindacati europei e autorevoli giuristi, e del movimento new global, il testo costituzionale segna una "involuzione" nei confronti dei diritti riconosciuti a livello nazionale da noi in Italia, ed in particolare dei diritti in materia di lavoro.
Nella seconda parte, intitolata "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione", sono affermati i principi di dignità, uguaglianza, libertà, solidarietà e giustizia che attengono ad ogni individuo in quanto tale, ma anche in qualità di lavoratore.
Esplicita e categorica è la proibizione di lavori forzati o svolti in qualsiasi forma di schiavitù (art. II-5), come ovvio, ma è anche previsto il rispetto del principio di solidarietà nell'ambito dell'impresa: qui i lavoratori hanno diritto ad essere consultati e informati, nei limiti delle leggi europee o nazionali.
Una particolare attenzione viene data al dialogo sociale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro: l'art. II-28 parla di "diritto di negoziare e concludere contratti collettivi a livelli appropriati" chiarendo che è legittimo il ricorso allo sciopero.
Nell'art. II-30, invece, viene affermato un importante principio, presente anche nel nostro Statuto dei lavoratori: la tutela del lavoratore dai licenziamenti discriminatori e arbitrari: una grossa conquista se si pensa che qui il divieto di licenziamento ingiustificato è inserito, probabilmente per la prima volta, in una Costituzione.
Molte critiche ha suscitato, però, un concetto espresso nell'art. II-15, cioè quello secondo cui "ogni individuo ha diritto di lavorare". La definizione, peraltro già presente nel documento di Nizza, risulta essere abbastanza ambigua e lessicamente e giuridicamente più vaga della locuzione "diritto al lavoro". Infatti in molti testi costituzionali nazionali - come nel nostro, all'art. 4 - si parla di "diritto al lavoro", inteso come impegno dello Stato a perseguire le politiche necessarie a rendere effettivo questo diritto. In altre parole, secondo uno spirito riformatore comune a più Stati europei, la privazione di lavoro e, quindi, la disoccupazione rappresenta "una colpa" dello Stato, a cui questi, attraverso politiche economiche mirate, deve ovviare; ecco perché nella espressione "diritto di lavorare" in molti vedono una involuzione, cioè un peggioramento della posizione di coloro che sono senza un lavoro.
L'art. II-31, infine, stabilisce che "il lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose", e a "periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite".
Assente è, invece, una norma che riproponga i valori di solidarietà e giustizia sociale contenuti nell'art. 36 comma 1 della nostra Costituzione, secondo cui "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".
La terza parte è dedicata a "Le politiche e il funzionamento dell'Unione".
C'è qui una sezione dedicata ai lavoratori, dipendenti e non, dove si legge che i lavoratori hanno libertà di circolazione all'interno dell'Unione e diritto di "prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro" (art. III-18). Saranno poi le leggi dell'Unione o le leggi quadro europee che provvederanno a mettere tutti i lavoratori dell'Unione su uno stesso piano, abolendo eventuali normative discriminatorie, ora presenti nelle legislazioni dei singoli Stati, che impongono ai lavoratori stranieri, sia pure di altri Stati membri della UE, condizioni diverse da quelle stabilite per lavoratori nazionali. In altri termini, un imprenditore tedesco, ad esempio, deve garantire ad un suo dipendente spagnolo lo stesso trattamento retributivo e previdenziale corrisposto ad un suo connazionale (art. III-19, c).
L'Unione si impegna, inoltre, a "istituire meccanismi idonei a mettere in contatto le offerte e le domande di lavoro" (art. III-19, d), e a favorire "le pari opportunità e parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego" (art. III-108).
Una sezione è invece dedicata alle politiche che l'Unione si propone di mettere in atto per favorire l'occupazione: le strategie individuate sono, fra le altre, la cooperazione tra Stati membri (art. III-99) e "la promozione di una forza lavoro competente, qualificata, adattabile", ma anche la creazione di "mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici" (art. III-97).
Per molti giuslavoristi ancora oggi il problema non riguarda tanto l'accrescimento dei diritti del lavoratore, ma piuttosto come evitare nei fatti la caduta di quelli già conquistati sulla carta. Questo perché, in un'epoca in cui le imprese spingono i propri governi ad approvare tipologie di lavoro sempre più flessibili, e tendono sempre più a trasferirsi verso mercati nei quali i costi di lavoro, le spese sociali e i costi ambientali sono molto più bassi degli attuali standard europei, con la mancanza di lavoro che diventa sempre più un problema drammatico, il declino nella protezione dei diritti fondamentali sembra essere già nell'ordine delle cose. A breve la questione sarà ancor più sentita perché l'allargamento dell'Unione verso est - ufficialmente dallo scorso primo maggio - potrebbe favorire l'affermarsi di forme di dumping sociale, nonostante gli sforzi fatti per evitare il fenomeno.

iCfr. Rivista telematica di diritto del lavoro, www.di-elle.it

 

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