Pubblicato su Politica Domani Num 36 - Maggio 2004

La grande Europa
Mentre l'Unione si avvia a dimensioni quasi coincidenti con l'intero continente, si chiede ai sei Paesi del primo nucleo della Comunità una ripresa congiunta dello spirito originario

di Giulio Andreotti

Senza indulgere a sopravvalutazioni della nostra Nazione, costituisce un motivo di orgoglio collettivo la constatazione dei risultati positivi dell'impegno europeo dell'Italia. Lo sottolineo sotto due aspetti.
Mentre l'Unione si avvia a dimensioni quasi coincidenti con l'intero continente, si chiede ai sei Paesi che nel 1957 costituirono il primo nucleo della Comunità una ripresa congiunta dello spirito originario. Lamentarsi per - effettuati o temuti - accordi speciali franco-tedeschi è fuorviante e può provocare conseguenze negative. Lo spirito di Messina (ricordiamo Gaetano Martino e i suoi sforzi) escludeva ogni asse preferenziale; né era contro altri Paesi, a cominciare dalla Gran Bretagna che sul momento non dava alcun segno di possibilismo. L'antidoto al conflitto storico tra Parigi e Berlino consisteva in una solidarietà tra i due Stati, partecipata insieme all'Italia e ai tre Paesi del Benelux con le loro caratteristiche di aggancio nord-europeo. La Comunità del Carbone e dell'Acciaio era stata la grande premessa di questa politica, profondamente nuova.
In quarantasei anni si è avuto uno sviluppo superiore alle previsioni più rosee, mai messo ad effettivo rischio dalle non rare parentesi di cosiddetto europessimismo. Il momento attuale è di enorme impegno per dare all'allargamento in atto un contenuto globale che va oltre le norme statuarie e i protocolli di aggregazione.
È stato messo in rilievo anche all'estero che i semestri di presidenza italiana non sono mai stati di ordinaria amministrazione. E sono particolarmente ricordati tre successi: lo sbocco dell'ampliamento a Spagna e Portogallo; l'avvio della storica decisione in Lussemburgo; ed infine il Consiglio di Roma che impostò le decisioni di Maastricht.
Ma c'è un ricordo ulteriore da sottolineare. Precorrendo i tempi l'Italia, indisse un referendum per dare alla allora imminente legislatura del Parlamento Europeo un potere costituente. Giuridicamente l'iniziativa italiana non era operativa, perché isolata (solo il Belgio la adottò, ma senza portarla a compimento). Ma rappresentò l'avvio anche culturale ad una omogeneizzazione che sfatava tutte le leggende di insuperabilità della Europa degli Stati, di marca gollista e di tradizione britannica. Si andava ripetendo che le differenze tra gli ordinamenti interni dei singoli Paesi non rendevano attuabile l'idea di una disciplina costituzionale unificata. Ma questa è ormai archeologia europea.
Spetta ora all'Italia guidare la Conferenza intergovernativai che deve dare concretezza operativa all'intelligente lavoro svolto dalla Convenzione presieduta con abilità e passione dal Presidente Giscard d'Estaing, con una valida cooperazione italiana.
Auspicare che il testo che Giscard ha solennemente consegnato al Presidente Ciampi venga approvato senza modifiche non è una scelta motivata da sacralità delle norme stilate. Anche se non mi convince la definizione della politica data un giorno da Luigi Luzzatti ("distribuzione equa del malcontento") in questo caso il modello concordato non è di completa soddisfazione di alcun Paese ma non contiene norme che legittimino la reazione intransigente di uno o più Stati. Personalmente non ho mai condiviso nel passato la demonizzazione dei voti all'unanimità; e di fatto si è sempre trovato al momento giusto il consenso operativo. Ma reputo maturo e necessario che si superi il diritto di veto, così come è stato saggiamente sancito nel testo Giscard.
Aprendosi - più rapidamente di quanto anche i più ottimisti speravano - ai vecchi Stati politicamente ex nemici dell'Est Europeo, l'Unione raggiunge un nuovo equilibrio e rafforza le strade della armonia e della pace. Sarà uno sforzo complesso e non privo di momenti difficili, ma la vita è segnata.
In parallelo sta camminando l'allargamento della NATO, essendosi trovato un modus vivendi dialogando con la Federazione Russa e allacciando con Mosca un rapporto operativo. Prescindo qui dalla necessità di mettere a punto in modo giuridicamente valido le norme di aggiornamento del Trattato; ed anche la definizione dell'obiettivo di fondo; non potendosi concepire una alleanza militare difensiva senza l'individuazione dei soggetti dai quali ci si deve cautelare. È giusto riassumerli con lo spettro del terrorismo, ma occorre essere più chiari e precisi, onde evitare troppo facili attribuzioni in questa o quella direzione di caratteristiche canagliesche.
Vorrei anche non dimenticare uno strumento internazionale per così dire parallelo che ebbe inizio a Helsinki nel 1975 (Organizzazione Europea) e fu solennemente consacrato nel Trattato di Parigi del 1990. Tra l'altro è un modello operante di collegamento dell'Europa con gli Stati Uniti d'America e con il Canada. Quanto sia utile questa compartecipazione non occorre sottolineare, in un momento nel quale le cosiddette relazioni inter-atlantiche hanno toccato i minimi possibili di vitalità.
In questa sede non posso davvero infine non far cenno ai dissensi intervenuti circa la menzione dell'origine cristiana del sodalizio europeo.
Mi sembra però che, al di fuori di ogni differenza di scuole e di ispirazioni, il testo che abbiamo dinanzi porti una data: 2003, anno del Signore. Non è tutto, ma cominciamo col dare rilievo a questo fondamentale punto di riferimento a Gesù..

ì L'articolo gentilmente concesso per la pubblicazione su PD dal Presidente Giulio Andreotti. Si tratta dell'editoriale pubblicato nell'agosto 2003 sulla rivista internazionale "30 Giorni nella Chiesa e nel mondo", diretta da Giulio Andreotti.

 

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Num 36 Maggio 2004 | politicadomani.it