Pubblicato su Politica Domani Num 35 - Aprile 2004

Quando non si tratta di un dono
Trapianti
Un articolo su Civiltà Cattolica ripropone un dibattito troppo presto dimenticato

di Maria Mezzina

Nader Michel è medico al Cairo (Egitto) e su La Civiltà Cattolica (n.3689 del 6 marzo 2004) ripropone il tema del trapianto di organi nelle sue implicazioni psicologiche, etiche e sociali. Il tema è stato oggetto di un convegno franco siriano di bioetica che si è tenuto a Damasco, Siria, il 6 e 7 dicembre 2003.
I trapianti di organi sono un dono, il dono supremo di parte di sé ad un altro, che ha conseguenze che modificano profondamente sia chi lo fa sia chi lo riceve. Essi pongono la comunità sociale e le equipe mediche di fronte a delicatissimi problemi di ordine etico e giuridico.
Vogliamo qui soffermarci sugli aspetti più problematici di questa pratica medica lasciando.

Le crisi psicologiche
Le manifestazioni più gravi che colpiscono chi riceve l'organo vanno dalla inevitabile consapevolezza dei propri limiti e della dipendenza dalla disponibilità e dalla vita di un altro (prima del trapianto), alla sensazione di estraneità del proprio corpo (dopo il trapianto); fino alle crisi derivanti dal rimorso di avere causato nell'altro un danno irreparabile, o nell'aver "desiderato" la morte del donatore. Anche il rigetto è vissuto spesso come ribellione, "come attacco del donatore o del ricevente" . ""Senza poterci fare nulla, il ricevente rischia di essere a lungo ossessionato dal donatore. Ne derivano la spersonalizzazione, la sensazione di essere due in uno, di essere spossessato dall'altro o sotto il suo influsso" . Sul piano psicologico il ricevente cerca di gestire una situazione di violenza, in cui vive, comunque, grazie a un altro in lui."

La dimensione etica
Nella medicina moderna non è rara la tendenza a considerare la malattia come un danno da riparare. In questo modo si considera il trapianto solo come la sostituzione di un organo difettoso con un altro funzionante. Diventa quindi reale la possibilità che si snaturi il senso stesso del dono e che prevalgano altri valori, quali "gli imperativi di efficacia, di rendimento, d'intervento rapido". C'è il pericolo che il donatore venga considerato come "una fonte di organi, cioè un corpo senza nome, senza storia, senza relazioni" e che il ricevente sia "visto unicamente come un corpo il cui funzionamento è difettoso e va riparato".

Le implicazioni sociali
La subordinazione dell'aspetto etico del trapianto di organi a quello utilitaristico, ha conseguenze che investono non solo la sfera dell'etica (comunque profondamente radicata nella nostra cultura) ma anche, in modo grave, quella sociale, fino al punto da mettere in serio pericolo il futuro stesso di questa pratica.
Il problema delicatissimo e contrastato della definizione di morte cerebrale è solo uno dei tanti. C'è il problema degli abusi: abusi nella gestione della prassi dei trapianti di organi e nella loro destinazione, e abusi nella ricerca e offerta di organi. Ci riferiamo qui al gravissimo fenomeno del traffico clandestino di organi e alla "vendita" di organi propri o di altri (in genere bambini) per ragioni economiche.
"Una volta presa la decisione di donare organi, il soggetto si affida alla competenza e alla prudenza collettiva - dice il dott. Michel - ... È la società che si fa garante, da un lato, del rispetto dei diritti delle persone e della loro dignità e, dall'altro, dell'assunzione della cultura tecnica ed economica in modo efficace per rispondere alla sofferenza dei pazienti. È evidente però che ciò non avviene senza conflitti, che devono essere continuamente affrontati e gestiti."

 

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Num 35 Aprile 2004 | politicadomani.it