Pubblicato su Politica Domani Num 35 - Aprile 2004

Sciopero generale
L'Italia si è fermata
Pensioni, scuola, lavoro e una nuova politica economica sono le ragioni dello sciopero. Dopo dieci anni tutti i sindacati tornano in piazza per manifestare, ma questa volta lo scopo non è la caduta del governo

di Giacomo Virgilio

L'Italia si è fermata venerdì 26 marzo. Lo hanno deciso i 6.000 delegati di Cgil, Cisl e Uil e milioni da lavoratori, studenti e pensionati.
La piattaforma rivendicativa dei sindacati è chiara. È necessaria una nuova politica economica, una nuova politica dei redditi, un migliore welfare. I sindacati vogliono cambiare l'agenda politica e sociale del paese. Il loro tentativo ha l'obiettivo il far uscire la nazione da un'economia stagnante, da un'occupazione sempre più a rischio, da investimenti che calano, da consumi bloccati, dal peggioramento delle condizioni materiali di lavoratori dipendenti e pensionati. Dunque è chiaro che non si tratta solo di sciopero sulle pensioni. C'è da parte di Cgil, Cisl e Uil, la richiesta di una politica economica opportuna: il Governo ha ritenuto che con meno tasse e con qualche tutela in meno, aumentando la precarietà del lavoro e riducendo i salari, l'economia potesse ripartire da sola. "È arrivato il momento che il governo esca dalla sua autoreferenzialità", questo è quanto hanno affermato i vertici sindacali.
Si protesta anche per una politica fiscale inadeguata, che finora ha premiato i più ricchi, e contro i condoni, che hanno risparmiato chi non ha pagato le tasse, mentre a farne le spese sono i lavoratori dipendenti che hanno visto il peso del loro quadro fiscale aumentare.
Diversi sono i rilievi che la piattaforma sindacale ha messo in evidenza: una realtà dove investimenti, produttività e occupazione rallentano; dove si impoverisce il sistema industriale, dopo i casi Cirio, Parmalat e Alitalia; dove un'inflazione strisciante ha letteralmente falcidiato il potere d'acquisto di stipendi, salari e pensioni; dove le famiglie, ogni giorno, devono fare i conti con gravi difficoltà e i giovani vivono nella precarietà della flessibilità del lavoro.
La polemica sindacale non è rimasta sterile: sono state presentate al Governo proposte alternative e nuove, definite da Angeletti (Segretario Generale Uil) "migliori". L'intento è di eliminare i privilegi dei lavoratori autonomi; garantire una riforma dell'istruzione che assicuri una scuola nazionale, pubblica, laica e di qualità, dove la formazione dei giovani vada veramente nel senso di assicurare a questa repubblica la classe dirigente e i cittadini che merita; proporre, soprattutto, un sistema pensionistico che non si limiti all'innalzamento dell'età pensionabile, e che sia calibrato con le nuove realtà, perché non è possibile, con tanti giovani disoccupati e fuori del ciclo produttivo, che i loro padri debbano uscire dal lavoro a 65 anni o con 40 anni di contribuzione.
L'assemblea dei quadri di Cgil, Cisl e Uil, non si riuniva da quasi 10 anni: l'ultima volta fu esattamente il 21 settembre del 1994, anche allora per preparare la grande manifestazione di piazza contro la riforma delle pensioni proposta dal primo governo Berlusconi. Il quadro che si presenta ora è indubbiamente molto simile. Stessa è la precarietà economica in cui ci si ritrova. I primi anni '90 erano anni di crisi economica, la prima vera crisi dalla fine degli anni '70. Le grandi fabbriche dichiararono ristrutturazioni, licenziamenti, esuberi. Stesso è, inoltre, l'obbiettivo della mobilitazione, il sistema previdenziale. Assente era, invece, il tentativo di dialogo risolutivo dei rappresentanti dei lavoratori che contrastarono il Governo non senza risultati. Allora infatti, nel '94, la grande astensione dal lavoro risultò essere una delle cause scatenanti il crollo del primo governo Berlusconi.
Ora i sindacati si oppongono al governo in modo costruttivo e sono pronti al dialogo. Un intento propositivo e non solo ostativo di cui questa affermazione è, infatti, emblematica: "Occorre dare una nuova centralità alla discussione e tornare a essere non solo un sindacato che reagisce alle politiche degli altri, ma che abbia la forza e responsabilità di entrare nella partita delle riforme."

Cosa cambierebbe dopo la riforma
Cgil, Cisl e Uil giudicano ancora troppo rigido il meccanismo delle nuove pensioni di anzianità e criticano il mancato innalzamento dell'aliquota contributiva per gli autonomi. Il leader della Cisl Savino Pezzotta ha infatti affermato che la quota 95 - la somma tra età contributiva e anagrafica - non prevede flessibilità.
Ma ecco esattamente cosa prevede la riforma:
- A partire dal 2008 la pensione di anzianità scatta con 40 anni di contributi o, in alternativa, con 60, anni di età e 35 di contributi. Nel 2010 si andrà in pensione a 61 anni con 35 di contributi. Nel 2013, se la verifica dei conti lo richiederà, l'età anagrafica si alzerà a 62 anni.
- Il conferimento del Tfr (liquidazione) nei fondi pensione non è più obbligatorio, ma sarà regolato in base al meccanismo del silenzio-assenso.
- Partiranno da subito gli incentivi per chi, pur avendo maturato i requisiti per la pensione, resta a lavoro: si tratta di un 32,7% in più in busta paga. Saranno ridotte dalle attuali quattro a due le "finestre" per poter lasciare in anticipo i lavoro.
Previsto, dal 2008, un risparmio dello 0,7% del Pil (Circa 8 miliardi di euro).

 

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Num 35 Aprile 2004 | politicadomani.it