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Hanno detto
Sul film di Mel Gibson, Roberto Parmeggiani, di Famiglia Cristiana, ha intervistato il Rabbino Laras e il teologo Ravasi.
"Il rabbino capo di Milano Giuseppe Laras e il biblista monsignor Gianfranco Ravasi si affrettano fuori dalla saletta in cui hanno assistito, invitati da Famiglia Cristiana, a un'anteprima di La Passione di Cristo di Mel Gibson." Ecco alcuni frammenti dell'intervista. Il Rabbino Laras Il teologo Ravasi
"Il film è l'occasione per porsi almeno tre questioni: quella storico-critica, quella teologica e quella artistica. La prima riguarda gli eventi in quanto tali. Molti oggi chiedono di ricostruire ciò che è accaduto in quelle ore. Noi non dobbiamo rispondere dicendo: "L'avete visto nel film, quella è la verità". Dobbiamo tornare a studiare i Vangeli, perché c'è la tentazione di identificare il film con il testo evangelico. Poi c'è il percorso teologico. Gibson non è un teologo. Il suo approccio è piuttosto ingenuo e la sua rilettura dei Vangeli è costruita secondo un orientamento tradizionale. [...] È una lettura della passione e della morte di Gesù [...] in cui si pone tutto l'accento sull'aspetto sacrificale. Questo è un elemento valido della teologia cattolica, ma non l'elemento esclusivo, perché la teologia riconosce che la morte di Cristo è, in pratica, la scelta estrema di Dio di condividere la natura umana. Soffrire e morire sono categorie fondamentali dell'uomo, ma la partecipazione di Dio al dolore umano è un'esperienza d'amore, una scelta compiuta per assumere su di sé la sofferenza allo scopo di trasfigurarla. Questo film, invece, fa vedere solo un atto sacrificale drammatico, eroico, tragico, ma si nota poco la dimensione dell'amore: il progetto di Dio non è qualcosa di fatalistico per cui Gesù, schiacciato, è costretto ad andare avanti. I Vangeli, di cui non si rimpiange mai abbastanza la sobrietà, ci aiutano a capire questa dimensione. Lo scopo di Gesù non è diventare uomo per morire come un uomo, ma di far sì che la realtà umana, anche il dolore, sia trasfigurata". "Gibson ha scelto di parlare soltanto della passione. Ma anche dal punto di vista cristiano, non si può arrivare solo fino alla crocifissione e alla tomba, e non parlare della Pasqua. Sono realtà intrecciate e l'ultima spiega le precedenti, permette di vedere che questo dramma non sfocia nella disperazione. A livello artistico ci sono elementi positivi: l'ammiccare alla storia dell'arte e il gioco degli sguardi, bellissimo. Per questo dobbiamo cercare di non avvitarci attorno alla polemica. Il rischio che il film possa alimentare sentimenti antiebraici esiste. C'è il rischio che la gente comune prenda su di sé questo supplizio, lo carichi e dica alla fine: "Maledetti quelli che hanno portato a questo", dimenticando che Nostra aetate dice realisticamente che il Sinedrio c'entra, ma che non tutti gli ebrei volevano uccidere Gesù. Trovo che l'eccesso narrativo della violenza non giovi al film. Si doveva cercare di dire, alla fine, una parola di speranza, che nei Vangeli è l'ultima parola. Siamo in una società mediatica. Eventi come questo film diventano quasi celebrazioni, e purtroppo possono avere un'eco maggiore dei discorsi del Papa. Però, invece di condannarlo o glorificarlo, partiamo dal film per tornare a incidere sulla conoscenza dei Vangeli da parte dei cristiani. È una grande opportunità per parlare di Gesù, ma stiamo attenti a non appiattirci sulla lettura che ne dà Gibson". [Fonte: Famiglia Cristiana]
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Num 35 Aprile 2004 | politicadomani.it
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